04/06/2017
di Sinistra Anticapitalista Taranto
La provocazione fatta dai due gruppi siderurgici che voglioni
aquisire le aziende ILVA, AM investco Italia (Arcelor-Mittal) e Da Accia
Italia (Jindal), è veramente forte. Facciamo il punto sulle proposte di
acquisto degli stabilimenti ILVA del fu patron Riva.
Una lunga procedura per la preparazione dei Piani industriali e
quella per la bonifica degli impianti e loro messa in sicurezza. Dopo
dieci decreti cosiddetti “salva ILVA” (salvarla soprattutto dai
Magistrati di Taranto che ne avevano decretato il sequestro senza
facoltà d’uso), vari tentativi gestionali (tutti falliti), si arriva
alla gestione commissariale. Scelta sciagurata anche perché devono
gestire lo stabilimento di Taranto con la scarsezza dei fondi messi loro
a disposizione. Uno stabilimento messo molto male già dalla proprietà
Riva che aveva “tirato il collo” agli impianti trascurando completamente
la situazione ambientale e della sicurezza.
Scarsa manutenzione programmata e interventi quasi sempre
emergenziali. Ad esempio questo modo di agire aveva determinato la
rottura della macchina Bivalente di messa a parco e ripresa del minerale
dei Parchi minerali, che aveva causato la morte di due giovani operai
nel 2004. Con la gestione commissariale, voluta dal governo Renzi, la
cosa non solo non è migliorata ma per molti aspetti è peggiorata, e
questo non è uno stabilimento che puoi mantenere con qualche spicciolo.
Ricordiamolo: si estende per 15 milioni di metri quadrati, ha circa
10500 dipendenti diretti e trasforma oltre 20 milioni di tonnellate di
materie prime. All’interno dell’impianto ci sono circa 190 km di nastri
trasportatori, 200 km di ferrovia e 50 km di strade. A ciò si aggiungono
8 parchi minerali (i parchi primari si estendono per 70 ettari e sono
quelli che dovrebbero essere coperti), 5 altiforni (di cui il numero 3
fermo da molti anni), 5 colate continue, 2 cave, 10 batterie per
produrre il coke, 2 treni di laminazione a caldo per nastri, un
laminatoio a freddo, 3 linee di zincatura (costruite da Riva), un treno
di laminazione a caldo per lamiere e 3 tubifici.
Quello che può sembrare una incapacità gestionale è in effetti un
modo subdolo di far svalutare lo stabilimento. Infatti, uno stabilimento
come questo tenuto in efficienza sarebbe stato valutato molto di più
che il 1.200 mld da Acciaitalia (Jindal, Cassa depositi e prestiti,
Arvedi e Del Vecchio), o dei 1.800 mld di AM Investco. Vorremmo
ricordare che prima dell’arrivo di Riva, lo stabilimento di Taranto fu
valutato da una agenzia inglese, in una cifra che si aggirava fra i 30 e
i 35 mila mld di lire italiane. Certo nessuno avrebbe potuto investire
neanche un decimo del suo valore capitale e fu ceduto a 1.400 mld di
lit., nemmeno pagato tutto.
Ora, la commedia si ripete, con l’aggravante degli esuberi: 4800 per
Arcelor-Mittal, 6400 per Jindal. Tanto per puntualizzare. Nel 1995 Riva
accettò per i primi tre anni di non licenziare nessuno. Certo,
successivamente usufruì dell’esodo di massa della vecchia classe
operaia, ormai logora, con l’applicazione della legge sulla esposizione
all’amianto, cosa sacrosanta per i lavoratori che erano stati in
quell’ambiente 25, 30 anni. L’operazione non fu fatta certo per
agevolare gli operai. Fu solo un modo indolore di fare uscire quasi
tutti gli operai e parte degli impiegati, protagonisti delle grandi
lotte degli anni 60, 70 e parte degli 80 del secolo scorso.
Contemporaneamente furono assunti giovani operai con i contratti di
formazione e lavoro. Il ricambio fu quasi totale: operai inesperti e
desindacalizzati, con salari più bassi e con minori diritti.
L’operazione di privatizzazione degli stabilimenti ILVA fu più o meno
comprensibile. La valutazione del prezzo fu affidata a una Agenzia
inglese. L’attuale vendita è totalmente oscura. Chi ha stimato il prezzo
del gruppo e perché il prezzo offerto dai due gruppi lo si ritiene
congruo non consentendo il rilancio dell’offerta e, si badi bene, non
stiamo parlano del solo stabilimento di Taranto, bensi di Genova, Novi
ligure e Racconigi in Piemonte, Marghera (Venezia) e altro; come mai si è
già stabilito che gli esuberi saranno in capo alla gestione
commissariale, di fatto già fuori dall’organico ILVA. Poi però si
rassicura che nessuno sarà lasciato senza lavoro. Anche Riva, quando
fece l’accordo per lo stabilimento di Genova lasciando solo l’area a
freddo, promise che i 600 esuberi messi in CIGS sarebbero stati
riassorbiti. Che fine hanno fatto quegli operai?
L’attuale capacità produttiva dell’area ghisa è di circa 6 mln di T.
con tre altiforni 1, 2, e 4, essendo fermo l’AFO 5 per fine campagna
produttiva. Ma la crisi dell’acciaio su scala mondiale ha ridotto anche
la produzione dello stabilimento di Taranto producendo nel 2015 4,7 mln
di T. e nel 2016 5,8 mln T. In conseguenza di questo le emissioni di
polveri, degli inquinanti delle cokerie, dello agglomerato si sono
ridotte. Questo livello di produzione, però, è temporaneo, in attesa che
l’AFO 5 sia ristrutturato e fatto ripartire. L’attuale AIA prevede che
lo stabilimento produca a regime 8 milioni di T. annui. Che cosa
prevederà la revisione dell’AIA? Manterrà questo livello o con 4
altiforni in funzione questa quantità potrà essere superata? Comunque,
l’inquinamento riprenderà a pieno regime come la produzione.
Infine c’è la questione della copertura dei Parchi minerali. Si farà,
non si farà? Aspettando Godot! Ci sono studi di fattibilità, c’è un
progetto di Renzo Piano, ma un conto è un progetto un altro sarà la
costruzione, perché si tratta di coprire 70 ettari e una altezza di
oltre una novantina di metri, con un impatto ambientale elevato, che
cambierebbe la morfologia del territorio a ridosso del quartiere
Tamburi. E non abbiamo detto niente su cosa accadrà ai lavoratori che
lavoreranno all’interno della struttura, in quanto le polveri rimarranno
tutte all’interno. Come respireranno, o di loro ci importa poco?
In questo marasma, non possiamo farci abbindolare dal turbillon di
miliardi che si sparano per rimettere in sesto lo stabilimento,
ritenendo poca cosa le offerte fatte dalle due cordate.
A quest’ulteriore regalo, si aggiungono gli esuberi che i due gruppi
ritengono di doversi liberare per ottenere un rapporto di 1.000 operai
per milione di T. . Il fatto che AM Investco ne proponga 4.800, mentre
Jindal ne chieda oltre 6000, non rende migliore la prima.
Intanto gli operai cominciano a fibrillare. Lo sciopero proclamato da
fim, fiom e uilm e anche dall’USB, il primo giugno, con presidio alla
direzione dello stabilimento è stato un segnale positivo. Questa è la
strada per impedire con forza l’arroganza di questi gruppi industriali, i
quali, inoltre, chiedono anche una riduzione del costo del lavoro,
ergo, ridurre la quota di salario che va nelle tasche dei Lavoratori.
Tenendo conto che non basterà la firma con le organizzazioni sindacali,
ma ci vorrà anche la firma individuale dei singoli lavoratori. Questo
vuol dire che bisognerà stare attenti a cosa scriveranno nell’accordo
con i sindacati, potrebbero infilare surrettiziamente il contratto del
famigerato Job ACT e, quindi, di fatto una novazione (demansionamento o
abbassamento del livello Professionale), come fu tentata da Riva con un
gruppo di impiegati nella famosa Palazzina LAF. Si tenga conto che già
oggi i salari sono ridotti per effetto della Cassa integrazione.
Non ci sarà soluzione positiva se si ridarà in mani private questi stabilimenti.
Noi di Sinistra Anticapitalista riteniamo che solo la
nazionalizzazione possa fare in modo che sia i livelli produttivi che
l’ambiente siano mantenuti accettabili, soprattutto per i cittadini del
Rione Tamburi. Tenendo conto della posta in gioco, solo una vasta
mobilitazione unitaria, che parta da Taranto e tocchi tutti gli
stabilimenti coinvolti; formare comitati di lotta in tutti i siti per
controllare il corso della parte finale dell’assegnazione, perché non
bisogna lasciare nelle mani di nessuno il proprio avvenire.
Sia ben chiaro, le lotte per conquiste parziali sono importanti e
danno coraggio per nuove conquiste; ma sia altrettanto chiaro che solo
la lotta per una società ecosocialista può mettere al centro gli
interessi di classe: l’ occupazione, il salario, la salvaguardia
dell’ambiente e della salute pubblica.
NO! Alla riprivatizzazione degli stabilimenti ILVA
NO! Ai licenziamenti!
Salvaguardia dell’ambiente e della salute!
Rimandiamo ai mittenti queste proposte inaccettabili!
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