di Gilbert Achcar
La dualità del progetto sionista: sfuggire all’opposizione razzista e riprodurla nel contesto coloniale.
La
dualità tra la posizione degli oppressi e quella degli oppressori non è
rara nella storia. In particolar modo nel caso di movimenti nazionali
che incarnano la lotta di una nazione oppressa per liberarsi dal
colonialismo, mentre questa stessa nazione opprime nel proprio paese una
minoranza – sia essa nazionale o razziale o religiosa o appartenente a
qualsiasi altra identità – e che il movimento nazionale non riconosca
quest’ultima oppressione o, peggio, la approvi con vari pretesti come ad
esempio quello di accusare la minoranza di costituire una “quinta
colonna” del colonialismo.[1]
La
frequenza di tale dualità viene spesso usata per “normalizzare” il caso
del sionismo e presentarlo come qualcosa di ordinario e simile a molti
altri casi. Lo scopo è di solito quello di sminuire i torti del
sionismo, se non di giustificarli, al fine di “normalizzare”
l’atteggiamento nei confronti dello Stato sionista e trattarlo come
qualcosa di normale. Cercherò di dimostrare in questo articolo che
questo argomento non è valido, spiegando la singolarità della dualità
propria del caso sionista.
È
indiscutibile che il sionismo sia nato storicamente come reazione
all’oppressione secolare subita dalle minoranze ebraiche nei Paesi
europei. Come è ben noto, la condizione degli ebrei nell’Europa
cristiana dal Medioevo fino al diciannovesimo secolo era molto peggiore
della loro condizione nei Paesi a maggioranza musulmana. Sotto le
autorità che si definivano cristiane, gli ebrei sono stati vittime di
persecuzioni peggiori rispetto alla discriminazione e alla persecuzione
ad intermittenza a cui erano sottoposte da parte delle sedicenti
autorità musulmane.
Tuttavia,
l’era moderna che seguì quella dell’Illuminismo e della rivoluzione
francese del tardo XVIII secolo portò gradualmente alla fine di questa
persecuzione nell’Europa occidentale, con la diffusione della moderna
nozione di cittadinanza basata sulla parità di diritti. Con un graduale
cambiamento democratico, la condizione degli ebrei migliorò gradualmente
nell’Europa occidentale tra le sponde dell’Atlantico e i confini
orientali della Germania e dell’Austria. La situazione evolse
gradualmente verso l’integrazione degli ebrei nelle società locali e la
fine della discriminazione. Ma la prima grande crisi che colpì
l’economia capitalista mondiale durante l’ultimo quarto del XIX secolo,
la lunga depressione, provocò varie tendenze xenofobe. Come tutte le
crisi sociali, ha potenziato la ricerca da parte dei gruppi di estrema
destra di capri espiatori al fine di sfruttare la rabbia delle loro
società a favore dei loro progetti reazionari.
Nello
stesso periodo, l’Europa orientale, in particolare la parte integrata
nell’impero russo, stava assistendo a un’espansione tardiva del modo di
produzione capitalistico. Questa trasformazione tardo-capitalista – il
cui effetto dirompente fu accresciuto e complicato dal fatto di essere
contemporaneo al capitalismo più avanzato in Occidente e con la lunga
depressione – portò ad un’acuta crisi sociale caratterizzata da un
accelerato esodo rurale. Il risultato fu che le tendenze xenofobe
vennero potenziate anche nell’Europa orientale, essendo gli ebrei le
loro prime vittime nell’impero russo, in particolare nelle aree che oggi
appartengono all’Ucraina e alla Polonia. In quelle zone, gli ebrei
furono sottoposti a successivi pogrom che li portarono a cercare di
migrare verso l’Europa occidentale e il Nord America.
Di
conseguenza, gli ebrei divennero il bersaglio favorito della xenofobia
nell’Europa occidentale, dove unirono i caratteri di stranieri migranti a
quelli di persone appartenenti ad una religione estranea [2]. Così,
sullo sfondo della lunga depressione e dei suoi effetti, l’Europa
occidentale assistette ad una rinascita dell’antigiudaismo in una nuova e
moderna forma: una teoria razziale che pretendeva di basarsi sulle
scienze antropologiche sostenendo che gli ebrei, o i semiti in generale
inclusi gli arabi [3], appartenessero a una razza inferiore e malvagia.
Questo fu il momento dell’emergere dell’ “antisemitismo”, che attaccava
gli ebrei europei e proseguì con l’espansione di una variante di
fanatico nazionalismo combinato con l’appoggio del colonialismo. La
lunga depressione aveva in effetti esacerbato la competizione sulla
divisione del mondo tra le metropoli coloniali nell’era del cosiddetto
“imperialismo”.
È
su questo stesso sfondo che il movimento sionista moderno è nato sotto
forma di sionismo nazionalistico, con l’obiettivo di creare uno Stato
ebraico diverso dalle precedenti o contemporanee forme di sionismo
spirituale o culturale. Come è noto, il fondatore del movimento, Theodor
Herzl, era un ebreo austriaco assimilato che arrivò alle sue
convinzioni sioniste dopo aver, come giornalista, seguito a Parigi il
processo contro l’ufficiale francese di discendenza ebraica Alfred
Dreyfus, vittima di un’ondata di antisemitismo nel suo Paese. Il caso
Alfred Dreyfus portò Herzl a scrivere il suo famoso libro-manifesto Lo Stato ebraico ( Der Judenstaat in tedesco: letteralmente Lo stato degli ebrei
) che uscì nel 1896 e costituì la base su cui fu convocato il primo
congresso sionista in Svizzera nella città di Basilea nel 1897, un anno e
mezzo dopo la pubblicazione del libro.
Vi
si trova una differenza qualitativa molto significativa tra l’ideologia
sionista come elaborata da Herzl e le ideologie nazionali che sono nate
in Europa nella prima metà del XIX secolo o nei Paesi coloniali durante
la prima metà del XX secolo. Mentre la maggior parte di queste
ideologie apparteneva al pensiero democratico emancipatorio, l’ideologia
sionista moderna apparteneva alla parte di nazionalismo fanatico e
colonialista che stava diffondendosi nel momento in cui apparve.
Infatti, mentre è indiscutibile che il sionismo sia il risultato
dell’oppressione ebraica e una reazione ad essa – lo stesso Herzl ha
spiegato nella prefazione del suo libro come “la miseria degli ebrei” è
la “forza propulsiva” del movimento che voleva creare – è ugualmente
indiscutibile che il sionismo come teorizzato da Herzl sia un’ideologia
che essenzialmente si inquadrava nel pensiero reazionario e
colonialista.
In
realtà, a prescindere da come fosse percepito dagli ebrei dell’Est
europeo poveri e duramente perseguitati che si aggrappavano ad esso come
ad un’ancora di salvataggio, il progetto sionista elaborato da Herzl
era al centro di un progetto elaborato da un ebreo laico austriaco
assimilato, con l’obiettivo di sbarazzarsi dei miserabili ebrei
religiosi provenienti dall’Europa dell’Est, la cui migrazione verso
l’Occidente aveva disturbato l’esistenza dei loro correligionari
dell’Europa occidentale.
Herzl lo ha riconosciuto con sorprendente franchezza nell’introduzione del suo libro:
“gli
“assimilati” trarrebbero profitto ancor più dei cittadini cristiani
dalla partenza degli ebrei credenti; poiché si libererebbero dalla
sconvolgente, incalcolabile e inevitabile rivalità di un proletariato
ebraico spinto dalla povertà e dalla pressione politica da un luogo
all’altro, da un Paese all’altro. Questo proletariato itinerante
diventerebbe stazionario. Molti cittadini cristiani – che noi chiamiamo
antisemiti – possono ora offrire una resistenza determinata
all’immigrazione degli ebrei stranieri. I cittadini ebrei non possono
farlo, anche se li colpisce molto più da vicino, perché prima di loro
sentono più di ogni altra cosa la feroce competizione di individui che
svolgono mestieri simili e che, inoltre, introducono l’antisemitismo
dove non esiste o la intensificano dove già esiste. Gli assimilati
esprimono questo segreto rancore con iniziative filantropiche . Hanno
fondato enti per gli ebrei erranti. C’è un rovescio della medaglia che
sarebbe comico, se non avesse a che fare con gli esseri umani. Alcune di
queste istituzioni caritatevoli non sono create per, ma contro gli
ebrei perseguitati, sono state create per spedire queste povere creature
il più rapidamente e lontano possibile. E così, molti apparenti amici
degli ebrei risultano essere, dopo un’attenta ispezione, nient’altro che
antisemiti di origine ebraica, camuffati da filantropi. Ma i tentativi
di colonizzazione compiuti anche da uomini veramente benevoli,
nonostante i loro tentativi interessanti, fino ad ora non hanno avuto
successo. . . Questi tentativi erano interessanti, in quanto
rappresentavano su una scala ridotta i pratici precursori dell’idea di
uno stato ebraico.”
La
nuova idea di Herzl in sostituzione delle fallite imprese coloniali
“filantropiche” che egli menziona – la più importante fu quella
finanziata dalla famiglia Rothschild – consisteva nel passare da azioni
benevoli ad un progetto politico integrato nella struttura colonialista
europea, mirando alla fondazione di uno Stato ebraico che avrebbe fatto
parte di questo quadro, rafforzandolo.
Per
questo, Herzl si rese conto che gli antisemiti cristiani sarebbero
stati i sostenitori più fedeli del suo progetto. La sua argomentazione
principale, nella sezione intitolata “Il piano” del secondo capitolo del
suo libro, è la seguente:
“La
creazione di un nuovo stato non è né ridicola né impossibile.... I
governi di tutti i paesi flagellati dall’antisemitismo saranno
fortemente interessati ad aiutarci ad ottenere la sovranità che
vogliamo”.
Tutto ciò che serviva era selezionare il territorio sul quale materializzare il progetto sionista:
“qui
vengono presi in considerazione due territori, la Palestina e
l’Argentina. In entrambi i Paesi sono stati condotti importanti
esperimenti di colonizzazione, sebbene sul principio sbagliato di una
graduale infiltrazione degli ebrei, un’infiltrazione destinata a finire
male. Continua fino al momento inevitabile in cui la popolazione
indigena si sente minacciata e costringe il governo a fermare un
ulteriore afflusso di ebrei. L’immigrazione è quindi futile se non si
basa su una supremazia assicurata. La società degli ebrei tratterà con
gli attuali padroni della terra, ponendosi sotto il protettorato delle
Potenze europee, se si dimostreranno amichevoli nei confronti del
piano”. Verso la
fine dell’ultimo capitolo del suo libro, in cui ha spiegato i “Benefici
dell’emigrazione degli ebrei”, Herzl ha assicurato che i governi
presteranno attenzione al suo piano “volontariamente o sotto la
pressione degli antisemiti”.
I
suoi diari includono molte osservazioni sulla complementarità tra il
suo progetto di inviare gli ebrei poveri fuori dal continente europeo e
il desiderio degli antisemiti di sbarazzarsene. Egli profetizzò persino
all’inizio del suo primo diario (1895) che gli ebrei si adattassero alla
brutalità degli antisemiti e li imitassero nel loro futuro Stato.
“Tuttavia,
l’antisemitismo, che è una forza forte e inconscia tra le masse, non
danneggerà gli ebrei. Lo considera un movimento utile al carattere
ebraico. Rappresenta l’educazione di un gruppo da parte delle masse e
può portare ad essere assorbito. L’educazione è compiuta solo a colpi
duri. Si verificherà il mimetismo darwiniano, gli ebrei si adatteranno.”
In
linea con il piano ideato dal loro padre spirituale Herzl, i dirigenti
del movimento sionista fecero grandi sforzi per ottenere il sostegno di
una delle grandi potenze europee al loro progetto, che presto optò
esclusivamente verso la Palestina. Approfittarono del trasferimento del
territorio dalla dominazione ottomana alla dominazione britannica, nel
contesto della prima guerra mondiale dopo la divisione del bottino
ottomano tra inglesi e francesi a partire dal famigerato accordo
Sykes-Picot del 1916. Da allora, gli sforzi dei dirigenti sionisti si
sono concentrati su Londra. Il leader del sionismo britannico, Chaim
Weizmann, ha fatto affidamento sul magnate ebreo britannico ed ex membro
del parlamento, Lord Walter Rothschild. I loro sforzi congiunti sono
riusciti a ottenere la ben nota promessa da parte del ministro degli
Esteri Arthur Balfour del 2° di novembre 1917.
Nella sua lettera, Balfour ha assicurato che :
“il
Governo di Sua Maestà [re Giorgio V] vede con favore la costituzione in
Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico, e farà tutto il
possibile per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo…”.
Questa
infame dichiarazione si inserì naturalmente nei calcoli imperialisti
britannici di quel tempo, nel contesto della continua competizione tra
la Gran Bretagna e i due alleati che condividevano la sua vittoria nella
guerra: la Francia e gli Stati Uniti.
Le
circostanze storiche della Dichiarazione Balfour concordavano
pienamente con le opinioni del “profeta” sionista Theodor Herzl. Lo
stesso Arthur Balfour era uno di quei cristiani antisemiti di cui Herzl
sapeva che sarebbero diventati i migliori alleati del sionismo. Il
ministro degli Esteri britannico è stato infatti influenzato dal
sionismo cristiano, la corrente cristiana che sostiene il “ritorno”
degli ebrei in Palestina. Il vero scopo di questo sostegno – non
dichiarato nella maggior parte dei casi ma a volte ammesso – è di
sbarazzarsi della presenza ebraica nelle terre a maggioranza cristiana. I
sionisti cristiani vedono nel “ritorno” degli ebrei in Palestina un
adempimento della condizione della seconda venuta del Cristo, che sarà
seguita dal giudizio finale che porterà tutti gli ebrei che non si
convertono al cristianesimo in eterna sofferenza nell’inferno.
Questa
stessa corrente costituisce oggigiorno negli Stati Uniti il più fedele
sostenitore del sionismo in generale e della destra sionista in
particolare. Quando era Primo Ministro (1902-1905), autore della
famigerata Dichiarazione, lo stesso Arthur Balfour, promulgò la legge
sugli stranieri del 1905, il cui scopo era fermare l’immigrazione in
Gran Bretagna di profughi ebrei in fuga dall’Impero russo. Vale la pena
di indicare qui un fatto storico raramente menzionato: Edwin Samuel
Montagu è l’unico ministro britannico che si è opposto all’iniziativa di
Balfour, ed è stato l’unico ministro che ha manifestato un’opposizione
al progetto sionista nel suo complesso.
Era
l’unico membro ebreo del gabinetto guidato da David Lloyd George, a cui
apparteneva Balfour, e solo il terzo ministro ebreo nella storia
britannica. Montagu avvertì che l’impresa sionista avrebbe portato
all’espulsione dei nativi palestinesi e rinforzato in tutti gli altri
paesi le correnti che desideravano sbarazzarsi degli ebrei. In un
memorandum presentato nell’agosto 1917 al Gabinetto britannico dopo aver
appreso ciò che sarebbe diventata la Dichiarazione Balfour, dichiarò
esplicitamente:
“Desidero
mettere a verbale la mia opinione che la politica del governo di Sua
Maestà sia antisemita e quindi si rivelerà terreno fertile per gli
antisemiti di tutti i Paesi del mondo. ” [4]
Come
previsto da Herzl, il progetto sionista si concretizzò sotto la
protezione di una grande potenza europea come parte dei suoi progetti
coloniali-imperialisti. Questo progetto non avrebbe potuto realizzarsi
senza una tale protezione e senza essere integrato in un quadro
coloniale-imperialista molto più ampio.
Il
“popolo ebraico” che Herzl voleva dotare di uno Stato tutto suo era un
popolo “immaginato”, senza alcuna istituzione politica che lo
costituisse come popolo e senza la forza necessaria per prendere parte
alla corsa coloniale di fine Ottocento. Fondando il movimento sionista,
Herzl voleva creare quell’istituzione politica che mancava e guidarla
verso la collaborazione con una delle grandi potenze. Il progetto
sionista fu quindi, fin dall’inizio, strutturalmente dipendente dalla
protezione di una grande potenza come Herzl aveva previsto. Questa
dipendenza ha caratterizzato la storia del movimento sionista e
successivamente quella del suo Stato fino ad ora. Non finirà finché lo
Stato di Israele sarà basato sull’oppressione coloniale, poiché la
naturale conseguenza di questo è l’inimicizia con il popolo palestinese e
gli altri popoli confinanti con la Palestina al punto che Israele ha
bisogno della protezione di una grande potenza straniera.
Gli
Stati Uniti hanno svolto questo ruolo sin dagli anni ’60. In breve, il
sionismo non è un movimento “normale” di liberazione nazionale che
condivide il duplice carattere di molti di questi movimenti che lottano
contro l’oppressione coloniale mentre opprimono altre comunità, siano
esse nazionali o di altra natura. Questa è la pretesa di quei
sostenitori di Israele che non sono fanatici al punto di negare
l’oppressione perpetrata dallo Stato sionista. La verità, tuttavia, è
che il movimento sionista è stato costruito sullo sfruttamento
dell’oppressione sofferta dagli ebrei e sulla dipendenza dall’aiuto
degli antisemiti per creare uno Stato coloniale strutturalmente
integrato nel sistema imperialista, non uno Stato postcoloniale come
qualcuno asserisce.
In
una svolta tragica della storia, l’antisemitismo ha raggiunto il
culmine nell’Europa del ventesimo secolo con l’ascesa al potere dei
nazisti e l’attuazione in seguito del loro progetto di genocidio,
costringendo un gran numero di ebrei europei a trovare rifugio nel
sionismo dal momento che altre forme di antisemitismo hanno sbarrato
loro le porte degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e di altri Paesi.
In
questo modo lo Stato sionista è stato in grado di nascere e di
presentare se stesso come risarcimento per il genocidio nazista degli
ebrei.
Queste
circostanze storiche hanno permesso a questo Stato di opprimere i
nativi palestinesi in misura certamente superiore a quella che i
fondatori del sionismo, incluso Herzl, si aspettavano.
Oggi,
un secolo dopo la Dichiarazione di Balfour, quasi 70 anni dopo la
fondazione dello Stato di Israele, oltre il settantotto per cento del
territorio della Palestina del mandato britannico, e mezzo secolo dopo
che questo Stato occupava il restante ventidue per cento, il primo
ministro sionista Benjamin Netanyahu continua a fare affidamento sugli
attuali antisemiti nei Paesi occidentali per ottenere un sostegno per
l’arrogante comportamento coloniale del suo Stato e del suo governo.
Dal
suo affidamento ai sionisti cristiani negli Stati Uniti, al suo flirt
con il primo ministro antisemita dell’Ungheria, al suo silenzio sulla
difesa di Donald Trump dell’estrema destra anti-musulmana americana,
Netanyahu sta seguendo le indicazioni di Herzl, ma in un il modo
moralmente più cupo di come si sta verificando dopo il genocidio nazista
che ha dimostrato quali orrori potrebbero scatenare l’antisemitismo e
altri tipi di razzismo.
[Questo
documento è stato presentato in arabo in una conferenza convocata a
Beirut il 13 e 14 dicembre dall’Istituto per gli studi sulla Palestina
in occasione del centenario della Dichiarazione di Balfour.]
Tratto da www.vientosur.info originale http://www.jadaliyya.com/Details/34667 Vedi anche, sul mio sito:
Ebrei e palestinesi nella storia: miti e realtà
Ebrei e palestinesi nella storia: miti e realtà
NOTE
[1]
È vero che il dominio straniero su un Paese spesso cerca di usare
minoranze oppresse, la cui condizione è migliorata come effetto
collaterale della sua presenza. Ciò non giustifica, naturalmente, la
maggioranza che opprime la minoranza dopo la liberazione dalla
dominazione straniera invece di limitarsi alla punizione degli individui
che hanno collaborato con gli occupanti nella perpetrazione di gravi
crimini – siano essi membri della minoranza o della maggioranza – mentre
cercava di abolire l’oppressione da cui storicamente la minoranza ha
sofferto per costruire una nuova società di cittadini uguali.
[2] Il primo esponente di questa analisi materialista sull’ascesa dell’antisemitismo è Abram Leon, The Jewish Question: A Marxist Interpretation
(New York: Pathfinder, 1970). Antisionista marxista di origine ebraica,
Leon morì ad Auschwitz nel 1944. Il suo manoscritto francese fu
pubblicato per la prima volta come libro nel 1946. [Il libro era stato
pubblicato anche in Italia da Samonà e Savelli].
[3] La nozione di semiti fa riferimento alle lingue semitiche, di cui l’ebraico e l’arabo sono oggi le più importanti.
[4]
“Memorandum di Edwin Montagu sull’antisemitismo del governo attuale
(britannico)”, The Balfour Project . Montagu considerava “inconcepibile
che il sionismo dovesse essere riconosciuto ufficialmente dal governo
britannico e che Balfour dovesse essere autorizzato a dire che la
Palestina doveva essere ricostituita come la” casa nazionale del popolo
ebraico “. Non so cosa questo implichi, ma presumo che ciò significhi
che musulmani e cristiani devono fare spazio agli ebrei e che gli ebrei
dovrebbero essere posti in tutte le posizioni di preferenza e saranno
particolarmente associati alla Palestina allo stesso modo in cui
l’Inghilterra è con l’inglese o la Francia con i francesi, che i turchi e
gli altri musulmani in Palestina saranno considerati stranieri, proprio
come gli ebrei verranno trattati come stranieri in ogni Paese tranne
che in Palestina. “
Poi
aggiunse con grande capacità di previsione: “Forse anche la
cittadinanza può essere concessa solo dopo aver superato un test
religioso”.
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