venerdì 24 aprile 2015

Riprendiamoci il 25 aprile, ogni giorno[i]


Per molti anni il 25 aprile era diventata una scadenza rituale, poco attraente soprattutto per i giovani.
Il trasformismo che ha a lungo caratterizzato la politica italiana aveva reso difficile distinguere non solo tra la vera destra e una “sinistra” che la imitava e rinunciava al suo patrimonio ideale, ma anche tra i fascisti e certi “antifascisti” come Luciano Violante, prontissimi a cancellare le differenze originarie pur di ottenere i voti necessari per accedere a qualche alta carica dello Stato. Le molte forze di Polizia e i corpi militari speciali come i paracadutisti della Folgore o la San Marco venivano intanto impunemente educati nel culto nostalgico delle guerre coloniali e fasciste, e si vedevano riconosciuto il diritto all’impunità ogni volta che veniva documentato qualche loro “eccesso”, dalle mattanze del 2001 a Genova alla tortura in Somalia, dalle imprese dei marò sparatori agli assassini casuali di innocenti come Stefano Cucchi o Federico Aldovrandi.
Era un processo cominciato da tempo, che aveva logorato o ridotto a pura retorica la celebrazione della Resistenza cancellandone le caratteristiche rivoluzionarie e internazionaliste, e presentandola in chiave interclassista e bipartisan. C’era stato però un sussulto il 25 aprile del 1994, dopo lo shock della vittoria elettorale di un Berlusconi che sdoganava i capi fascisti e la schiuma del razzismo padano: come reazione quel giorno si vide di nuovo una straordinaria affollata e combattiva manifestazione sotto la pioggia a Milano in cui si ritrovarono insieme vecchi partigiani e giovanissimi militanti.
Era la strada giusta per colpire il nuovo governo di centro destra, e in effetti in quello stesso anno le mobilitazioni in difesa delle pensioni portarono alla sua caduta. Tuttavia l’ennesima incarnazione del vecchio trasformismo italiano diede vita rapidamente a un nuovo governo, affidato a Lamberto Dini, che era stato fino a poco prima Ministro del Tesoro di Berlusconi, che con i voti delle sinistre e la complicità dei sindacati fece accettare la stessa controriforma delle pensioni contro cui ero scesi in piazza in tanti quando a proporla era stato Berlusconi.
Cominciava un ventennio di nuovi inganni e compromessi meschini, in cui si alternavano i ministri ma le politiche restavano le stesse, in un quadro involutivo a cui la stessa “sinistra radicale” non ha saputo opporsi a sufficienza, e che ha ridotto al minimo la voglia di partecipare, l’interesse per la politica. Per il voto, in primo luogo, ma anche per le celebrazioni rituali, sempre più vuote e meno attraenti. Il periodo della presidenza di Giorgio Napolitano, che nel PCI era stato il leader della corrente migliorista che predicava e praticava l’unione nazionale interclassista, aveva dato un colpo durissimo alla sinistra, che sembrava cancellata non solo dalle aule parlamentari.
Ma il peggioramento della situazione del lavoro e del sempre più diffuso “non-lavoro”, l’attacco alla scuola pubblica a favore di quella privata e confessionale, la distruzione di quanto rimaneva del welfare da parte di governi interclassisti e liberisti, hanno spinto ora molti giovani e giovanissimi a riscoprire gli ideali della Resistenza, e a farli propri.
La Resistenza voleva farla finita con il nazionalismo e con tutte le guerre, per sempre, mentre oggi con vari pretesti l’Europa (con l’Italia in prima fila) interviene in molte parti del mondo, con imprese militari “umanitarie” che assorbono le risorse sottratte alla scuola, alla salute, alle pensioni, alla creazione di posti di lavoro. Soprattutto portano distruzione e disperazione, e quindi nuove inarrestabili correnti migratorie che si dirigono in Europa, passando ovviamente per i paesi più esposti, Italia e Grecia. Gli stessi politici che hanno voluto riarmo e proiezione imperialista nel mondo, creano allarme sulle “invasioni barbariche”, per gettare le basi per un’ondata razzista e per un nuovo fascismo. Ovviamente devono far dimenticare che molti milioni di italiani hanno dovuto anche loro emigrare, in Europa, nelle Americhe, nella lontana Australia, subendo spesso discriminazioni e umiliazioni. Molti di loro sono morti in viaggi della speranza, assiderati nei valichi alpini, o annegati in naufragi come i 657 della “Principessa Mafalda” che un armatore italianissimo caricò nel 1927 di migranti diretti in Argentina nonostante la nave fosse un colabrodo. Si possono ricostruire decine e decine di tragedie analoghe nell’Atlantico e anche nel Mediterraneo.
Vengono spacciate intanto come difensive nuove imprese armate sulle coste del Mediterraneo, che non potranno in nessun modo fermare l’esodo da zone di guerra e di catastrofe umanitaria. Intervenire a mano armata nelle zone di crisi, magari con i droni “intelligenti” che hanno appena dato l’ennesima prova che salvano chi li manovra da lontano, ma producono terribili “danni collaterali”, potrà dare anzi nuovo respiro e dimensione di massa a un terrorismo che oggi è ancora circoscritto, ma rischia di apparire a molti disperati l’unica risposta possibile a un nuovo intervento colonialista.
La rinascita dell’antifascismo deve accompagnarsi alla ricostruzione storica dell’indissolubilità tra fascismo e guerre: l’entrata in guerra dell’Italia cento anni fa (violentando un parlamento neutralista) rappresentò la prova generale della Marcia su Roma. Poi, dalla riconquiste della Libia che provocò centinaia di migliaia di vittime, all’aggressione all’Etiopia e alla Spagna repubblicana, il fascismo italiano è passato di guerra in guerra, finendo inevitabilmente al guinzaglio di Hitler, per precipitare poi nella catastrofe della seconda guerra mondiale.
Questo va ricordato ogni giorno per evitare che un cinico demagogo come Matteo Salvini, utilizzando anche organizzazioni come Casa Pound e Forza Nuova, e godendo della benevolenza e dell’amplificazione dei media riesca a consolidare un movimento di massa fascisteggiante, costruito sul panico per “la sicurezza in pericolo” e che fa leva sull’arretratezza culturale di “chi teme ogni forestiero incapace di bestemmiare nel suo dialetto”. Un movimento presentato come falsa alternativa alle politiche di austerità gestite da quelli che si ammantano della retorica della democrazia, e che non possono che aprire la strada anch'esse alla reazione fascista. L’Europa, tanto attiva nell’imporre un capestro alla Grecia (che nonostante le sue difficoltà ha salvato e ospitato moltissimi migranti) deve e può impegnarsi ad accogliere in tutti i paesi dell’UE chi cerca di sfuggire alle guerre e alle catastrofi ambientali e anche solo alla miseria indotta dall’esterno dallo sfruttamento imperialista.
Il fascismo e il militarismo vanno combattuti su tutti i piani, anche ideologicamente, ma soprattutto battendosi per un nuovo assetto del mondo basato sulla cooperazione tra i popoli, e non sulla violenza e la prevaricazione delle grandi Potenze imperialiste, dei loro fantocci, e dei loro emuli a livello regionale, come l’Arabia Saudita o l’Iran.
L’altra faccia della Resistenza: cancellata
È vero che per anni le celebrazioni della Resistenza hanno ridimensionato fortemente le sue caratteristiche originarie, esaltando soprattutto il ruolo di carabinieri e ufficiali badogliani, ma una sorte peggiore è capitata a quelle formazioni partigiane comuniste come “Bandiera Rossa” a Roma e nel Lazio o “Stella Rossa” a Torino, che si erano contrapposte alla linea di collaborazione di classe di Togliatti, e che non a caso erano state discriminate dagli alleati che rifiutavano loro lanci di armi e munizioni. Subito dopo la “Liberazione” la censura degli occupanti impedì la pubblicazione dei loro giornali e perfino di volantini. Eppure la loro partecipazione alla lotta armata non era stata minore di quella di altre forze politiche.
La più nota di queste formazioni, il Movimento comunista d’Italia, più conosciuto dal nome del suo giornale, “Bandiera rossa”, a Roma ebbe un peso notevole: nei nove mesi dell’occupazione nazista il MCd’I ebbe 186 caduti (tre volte più di quelli del PCI, cinque volte quelli del Partito d’Azione, e il 34% del totale). 137 suoi militanti furono arrestati e deportati; i combattenti “riconosciuti” dopo la Liberazione furono 1.183, cinque in più di quelli del PCI e 481 in più dei socialisti. Ma molti rifiutarono sdegnosamente le pratiche burocratiche per ottenere il riconoscimento, molto ambito invece dai partigiani dell’ultimo minuto.
Nel primo eccidio compiuto nella capitale il 23 ottobre 1943 alle Fosse di Pietralata dai nazisti e dai fascisti al loro seguito, 9 degli 11 fucilati erano del MCd’I. Per ben sette numeri nei primi tre mesi dell’occupazione nazista il giornale “Bandiera rossa” superò la tiratura dell’Unità. Poi la tipografia fu scoperta e stampare diventò più difficile e rischioso, e la frequenza e la tiratura si diradarono (fino al giugno 1944 uscirono solo 4 numeri). Ma furono stampati diversi volantini, uno dei quali fu lanciato simultaneamente in 120 cinema della capitale.
Contrariamente a quanto si dice spesso, il MCd’I non era trotskista, ma veniva considerato tale dal PCI perché raccoglieva militanti che criticavano le sue scelte interclassiste e la subordinazione della Resistenza alle esigenze degli “Alleati”. Le sue posizioni erano abbastanza chiare sui compiti in Italia, confuse e contraddittorie nella valutazione del quadro internazionale: alcuni editoriali rivelavano l’illusione che Stalin potesse sconfessare Palmiro Togliatti, che in realtà era stato per anni il suo più fedele collaboratore ed esecutore, facendosi perdonare il passato buchariniano. (Si veda sul sito il capitolo su Togliatti e Bucharin). Solo nell’ultimo periodo appare traccia di qualche influenza diretta di Trotskij e di Bordiga, di cui vengono consigliati ai militanti alcuni scritti.
Dopo la Liberazione, una forte offensiva del PCI per conquistare alcuni dirigenti del MCd’I, mentre ad altri con una formazione politica maggiore veniva negata l’iscrizione, spaccò il movimento, che era disorientato anche perché privo di un organo di stampa dato che le autorità alleate vietavano di pubblicare “Bandiera Rossa”. Un'altra esperienza formatasi a Napoli alla sinistra del PCI, la CGL meridionale e la Federazione detta di Montesanto, fu ugualmente stroncata dall’intervento del PCI spalleggiato dalle autorità alleate. Il risultato fu che molti militanti ritornarono a vita privata, mentre quelli entrati nel PCI rispettarono la consegna del silenzio che gli era stata imposta per accoglierli.
Abbiamo il dovere di non dimenticare quell’esperienza, come quelle che si delinearono, con minore ampiezza e forme diverse, in altre parti dell’Italia, e che avevano in comune la preoccupazione che i sacrifici fatti per abbattere il fascismo potessero essere resi vani dall’impegno del PCI a garantire la restaurazione dello Stato borghese. Come avvenne effettivamente nel corso degli anni di partecipazione del PCI al governo, 1944-1947. Non dimentichiamolo mai, quando ricordiamo quelle vicende e rendiamo onore a quei sacrifici. (a.m.                                                                                                                                                                                                                                     --- --- ---
[i] Questo articolo è una rielaborazione di un articolo e di una scheda che appariranno sul prossimo numero del giornale di Sinistra anticapitalista.

Nessun commento:

Posta un commento