lunedì 15 maggio 2017

La velenosa palude italiana

Pubblicati su anticapitalista.org 12 maggio 2017             di Franco Turigliatto

 Il governo che segue è sempre peggiore di quello che l’ha preceduto. Si può invertire questa legge non scritta del liberismo? Non possiamo finire nella ridotta della scelta tra Macron e Le Pen, ma neanche in quella tra Renzi e Grillo, con Salvini a raccoglierne i marci frutti


Le vicende dell’ultimo decennio hanno messo in luce in Italia, ma anche in Europa, una nuova implacabile legge politica: il governo che segue è ancora peggiore di quello che l’ha preceduto, sempre più antioperaio, liberista, guerrafondaio e liberticida. Sono gli imperativi della concorrenza capitalista e delle politiche liberiste che, da un governo all’altro, moltiplicano gli attacchi delle classi dominanti alle condizioni di vita e ai diritti delle classi popolari.

Vale per la Francia e per l’Inghilterra e vale per il nostro paese che ha subito dopo i disastri di Berlusconi, la mannaia di Monti e Fornero, le ingiustizie di Letta e poi le prepotenze di Renzi. Chi si illudeva che dopo la dura sconfitta del 4 dicembre con l’affermazione nelle urne della difesa dei diritti democratici scritti nella Costituzione, le cose potessero cambiare, si sbagliava di grosso. Il governo Gentiloni in pochi mesi ha messo in atto misure che approfondiscono ancora l’opera del suo predecessore spaziando sui terreni più diversi: i decreti legislativi della buona scuola hanno ulteriormente peggiorato la condizione degli insegnanti e la destrutturazione della scuola pubblica, i regali alle banche sono stati moltiplicati per dieci, le spese militari sono ulteriormente lievitate e così il ruolo militare dell’Italia nella congrega imperialista in giro per il mondo; il decreto Minniti costituisce un vergognoso attacco alla già terribile condizione dei migranti, trasforma i sindaci in podestà/sceriffi per cacciare dal “decoro” delle città i poveri più derelitti quasi che “l’indecorosità” non stia nelle politiche della borghesia che hanno allargato a dismisura l’area della povertà (nove milioni di persone nel nostro paese); lo stato si dota di ulteriori strumenti preventivi e repressivi per stroncare sul nascere le lotte e le mobilitazioni dei lavoratori. E non bisogna dimenticare il rifiuto di un serio intervento pubblico per affrontare la crisi dell’Alitalia in funzione degli interessi dei lavoratori e della collettività e non delle logiche del mercato.
Gentiloni ha potuto fare tutto questo in silenzio e in tranquillità. Se Renzi operava attraverso le slides ingannevoli e la propaganda gridata, la scelta del suo successore, ben correlata con le indicazioni della borghesia e l’opportuna e discreta copertura mediatica, è quella di apparire moderato, quasi non fosse operativo, quando invece inanella una dopo l’altra le peggiori ingiustizie.
L’ultima è naturalmente la legge sul porto d’armi e sulla cosiddetta legittima difesa, con cui si vuole importare in Italia la barbarie dei cittadini armati con le drammatiche conseguenze testimoniate dalle vicende degli Stati Uniti.
Salvini detta l’agenda
Già perché è proprio un personaggio come Salvini e una forza reazionaria e xenofoba come la Lega che dettano l’agenda politica, ovverosia i temi su cui il paese viene chiamato a discutere e il legislatore a legiferare. Naturalmente la resistibile ascesa di Salvini non è il frutto solo della sua demagogia personale e di un clima sociale già fortemente deteriorato dalle sconfitte del movimento operaio, ma è agita attraverso i tanti media che hanno spianato la strada a questo pericoloso soggetto, che, come altri in epoche passate, ha la funzione di dividere i lavoratori, demonizzare i più deboli, incitare all’odio contro di loro, tutti elementi che preludono a un ulteriore imbarbarimento della società.
Colpisce al cuore che alcuni media e settori borghesi “presunti progressisti”, ma molto liberisti e aree intellettuali non mettano in atto alcuna seria iniziativa di contrasto a questa regressione sociale e culturale che sappiamo bene quali disastri abbia compiuto in passato.
Ma appunto, a monte di tutto, ci sono le politiche complessive della classe dominante la cui preoccupazione maggiore è quella di impedire una risposta del movimento dei lavoratori. Colpisce al cuore che di fronte alle tragedie continue del Mediterraneo, alle morti e ai drammi dei migranti e dei rom, non ci sia una adeguata reazione di indignazione, di solidarietà, di umanità e che la voce di chi invece la pratica non trovi un movimento di massa che la trasformi in una azione sociale e politica che condizioni il dibattito e le vicende del nostro paese.
Che è successo dopo il 4 dicembre
Una domanda viene spontanea. Perché la dura sconfitta del 4 dicembre di coloro che volevano chiudere il cerchio liberista con una piena controriforma istituzionale non ha modificato le dinamiche politiche? Perché Gentiloni continua indisturbato? Perché Renzi ha potuto ritessere le sue fila nella discrezione dei media preparando le condizioni per un suo ritorno al timone del governo. Perché non compare nella discussione quali saranno i costi (per i lavoratori) della finanziaria che si varerà a settembre (partirà da una ventina di miliardi, ma saranno molti di più), per ottemperare alla tagliola del fiscal compact? Perché tutti discutono di una legge elettorale maggioritaria quando dal referendum è uscita la richiesta di una rappresentanza proporzionale autentica? Perché sul piano politico si prepara uno stucchevole scontro all’ultimo sangue tra Renzi e il movimento 5 Stelle, due prospettive non certo entusiasmati per i lavoratori. Di Renzi sappiamo bene. Di Di Maio sappiamo di più dopo le sue recenti esternazioni sul salvataggio dei migranti. Non abbiamo mai avuto dubbi e tanto meno innamoramenti per il M5S, la cui natura ambigua ed interclassista era chiara fin dagli inizi, ma ci troviamo ora di fronte a una dichiarazione di guerra contro i migranti che produce un danno politico e culturale immenso nel paese chiarendo come questa forza sia molto attenta a convogliare forze e pulsioni di destra e xenofobe. Per i migranti la strada della salvezza sarà ancora più difficile. Per altro la traiettoria delle giunte Raggi e Appendino a Roma e Torino mostra la scelta del M5S di operare e amministrare nel quadro del liberismo e col consenso delle classi dominanti. Il M5S va combattuto a fondo da sinistra.
Il realtà lo schieramento che ha vinto il 4 dicembre non solo era eterogeneo, ma le forze politiche e sociali della sinistra che lo componevano non avevano la forza e la volontà di rilanciare in avanti la battaglia politica. Soprattutto erano del tutto impreparate a sviluppare un’azione di ricomposizione sociale e di lotta sui luoghi di lavoro, decisive per capitalizzare la vittoria referendaria. Questa strada era ed è bloccata dalle scelte delle direzioni sindacali, dal loro rifiuto di costruire le condizioni di uno scontro complessivo con il padronato, lasciando le vertenze e le lotte in corso isolate, dalla subordinazione alle richieste della Confindustria e dalla non volontà di opporsi al governo Gentiloni, come era già stato con Renzi
Qui sta il nodo irrisolto.
La Corte costituzionale ha potuto far saltare senza colpo ferire il referendum sull’articolo 18 e la stessa parziale vittoria sui voucher non ha potuto essere utilizzata realmente.
Difficile farlo quanto si firmano uno dopo l’altro i contratti di restituzione, quando si accetta la aziendalizzazione del welfare che altro non è che una regressione profonda e una divisione dei lavoratori, lasciando ulteriori armi ai padroni.
Parole, parole…
Così la Cgil ripiega sulla propaganda generica; la segretaria Camusso in una piazza romana chiede il ritorno all’articolo 18, misure contro la precarietà; spende parole di solidarietà per i migranti e condanna il razzismo; parla genericamente di pensioni, di sanità, ma tutte queste parole sono completamente staccate da una reale pratica di lotta, dalla volontà di riorganizzare la classe lavoratrice. Si chiede ai nemici dei lavoratori di fare un’altra politica quando invece l’unica scelta utile per la classe lavoratrice è di organizzare la mobilitazione, attraverso assemblee nei luoghi di lavoro per rimotivare tutte e tutti, per dar loro una speranza, per definire una piattaforma all’altezza delle necessità e per indicare chi sono i nemici e dire: “adesso proviamo a fare sul serio”.
Tutti parlano della disoccupazione e dei giovani senza futuro, ma sono in pochi coloro che si battono per una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario e per un intervento pubblico diffuso ed articolato sul territorio in funzione dei bisogni dei cittadini, delle comunità locali, dell’ambiente; solo attraverso questi due obiettivi si possono creare quei posti di lavoro che sembrano essere svaniti con le ristrutturazioni.
Le forze vere della sinistra possono fare qualcosa
E’ da qui che le forze della sinistra dovrebbero ripartire per rilanciare un’azione politica e sociale.
Siamo consapevoli che di fronte a rapporti di forza deteriorati sui luoghi di lavoro lavoratrici e lavoratori chiedono un cambiamento politico dall’alto, disposti a dare una pericolosissima delega a personaggi che di volta in volta sembrano essere l’alternativa possibile, affermatisi grazie ai media e alle risorse economiche di cui dispongono.
Non condividiamo però che la discussione delle forze della sinistra avvenga tutta dentro il perimetro delle alleanze elettorali e della scadenza delle elezioni politiche.
Pensiamo che anche per preparare al meglio questa scadenza le organizzazioni della sinistra, coinvolgendo anche i diversi collettivi e soggetti di “movimento” sia locali che nazionali, debbano unire le loro forze militanti e gli strumenti politici organizzativi che hanno a disposizione per costruire una vasta campagna sui temi sociali, sull’occupazione, sull’unità dei lavoratori, sull’unità con i migranti, demistificando le menzogne e le ideologie reazionarie e di incitamento all’odio di Salvini e del neofascismo.
E devono sostenere le correnti sindacali di classe, per costruire la ripresa di una lotta più ampia imprimendo un nuovo corso a tutte le vicende sindacali.
Non è chiedere troppo o l’impossibile. E’ chiedere solo il necessario in questa fase politica di transizione incerta ed oscura, per costruire le condizioni del protagonismo dei lavoratori e la credibilità di una alternativa a sinistra. Non possiamo finire nella ridotta della scelta tra Macron e Le Pen, ma neanche in quella tra Renzi e Grillo, con Salvini e i suoi accoliti pronti a raccoglierne i marci frutti.

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