4 ottobre 2018
della Direzione Nazionale di Sinistra Anticapitalista
Il 2 ottobre è stata una giornata di
reazione disseminata nelle strade e nelle piazze italiane contro
l’arresto di Mimmo Lucano, Sindaco di Riace, accusato assurdamente di
“favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Questa giornata ha
riacceso un faro di luce puntato contro l’oscurantismo di questo
governo: piazze unitarie, radicali e plurali che hanno immediatamente
reagito all’ennesimo atto di repressione favorito dal governo
pentaleghista. Il DDL del leghista Pillon, la dotazione del Taser alla
polizia contro migranti, manifestanti e senza tetto, la conferma degli
accordi con la Libia dei torturatori, la persecuzione delle ONG,
trattate come criminali, la riduzione delle tasse alle imprese e ai
ricchi e l’elemosina di Stato volta al disciplinamento sociale della
forza-lavoro disoccupata/sottoccupata, sono tutti elementi che mostrano
la natura organicamente reazionaria di questo governo. La necessità di
lottare a fondo contro di esso e contro ciò che rappresenta è patente.
Abbiamo più volte sottolineato come i
governi precedenti a guida PD avessero gettato le basi per l’exploit del
M5S e della Lega e per la deriva reazionaria in corso nel paese, ed è
per questo che, ben prima dell’insediamento di questo governo, avevamo
sempre considerato necessario lo sviluppo di una dinamica riaggregativa
che, analogamente a quanto recitava il Manifesto fondativo di Potere al
Popolo, costruisse un movimento di lavoratrici e lavoratori, di
giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della
comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali,
esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti,
reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e
anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista,
laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono
stati all’opposizione e non si sono arresi. Questo approccio si
rendeva non solo necessario ma indispensabile per contrastare
efficacemente gli attacchi ai diritti sociali e democratici della
maggioranza sociale degli sfruttati e degli oppressi. Potere al popolo
ha avuto una grande opportunità che avrebbe dovuto sfruttare in modo
diverso, avendo costruito una sua credibilità e riattivato energie
politiche nuove e vecchie: essere inclusivo, allargare il suo orizzonte,
lanciare iniziative che mettessero insieme tutti coloro che non si sono
arresi, ricomporre un conflitto oggi frammentato e spesso perdente,
riunire le lotte per il diritto all’abitare, contro lo sfruttamento nei
luoghi di lavoro, per i diritti delle donne e della comunità LGBT, per
la difesa del territorio e per i diritti dei migranti. Purtroppo,
occorre constatare che l’ispirazione originaria sia stata di fatto
abbandonata a beneficio della costruzione di un nuovo soggetto politico
autonomo e indipendente, cioè di un partito. Pensiamo che un partito di
classe sia uno strumento necessario per la lotta anticapitalista, ma
siamo al tempo stesso convinti che questo strumento non si improvvisi,
che necessiti di iniziativa sociale comune e di un intenso dibattito
politico e strategico che getti le basi per la sua costruzione nel tempo
e con le modalità democratiche più adeguate. Ci sembra, invece, che PaP
si sia incanalato in una strettoia organizzativistica, peraltro
centrata sull’uso di una piattaforma informatica che produce una
dinamica passivizzante, limita la discussione de visu, non esorta né
stimola alla militanza e genera forme plebiscitarie. Questa
precipitazione, che ha di fatto negato lo spirito del manifesto inziale,
si è riverberata nella discussione relativa allo statuto, esacerbata
dalla contrapposizione fra due testi alternativi e alla conta che ne è
seguita, alla quale non abbiamo voluto partecipare. È risultata evidente
la volontà di non definire un quadro politico ed organizzativo
strutturalmente largo, ma di precipitare Pap in una forma specifica (lo
statuto) che di per sé stesso diventava uno strumento espellente. C’è da
aggiungere che questo percorso è stato caratterizzato da atteggiamenti
settari che hanno limitato il pluralismo necessario, impedendo il
riconoscimento e la pubblicizzazione di proposte politiche diverse
emerse più volte nel vivace dibattito interno e centralizzando e
verticalizzando al massimo la gestione del movimento, facendo riemergere
tensioni campiste e sovraniste che si vanno diffondendo anche in molte
organizzazioni della sinistra radicale europea portandole a rinunciare
pericolosamente a un approccio internazionalista e di classe necessario.
Quell’internazionalismo che non attribuisce la condizione di
sfruttamento e di povertà dei lavoratori e dei disoccupati di un paese
al lavoratore migrante o europeo, ma ai padroni sempre alla ricerca di
maggiore profitto; quell’internazionalismo che rifiuta di schierarsi a
favore di uno degli imperialismi in lotta per la nuova spartizione delle
sfere di influenza nel mondo, né che assume acriticamente,
mitizzandole, le esperienze politiche di altri paesi, ma che, in ogni
momento, privilegia gli interessi delle classi popolari, il loro
rafforzamento, la loro autorganizzazione. La “battaglia degli statuti”,
non ha però riguardato solo quale Potere al Popolo, ma ha avuto anche
una evidente connessione con il dibattito sulle prossime elezioni
europee nel 2019. Anche su questo versante, questo scontro ha fatto sì
che si perdesse l’occasione di occupare il campo con una proposta
politica di una lista plurale e radicale, aperta e centrata attorno alle
esperienze di movimento e di conflitto sociale, lasciando invece campo
libero a De Magistris, che ha potuto quindi candidarsi con una proposta
elettorale condizionata alla sua centralità e al suo sotto-riformismo, e
preoccupata esclusivamente di superare la soglia di sbarramento per
accedere al Parlamento Europeo mettendo in secondo piano la chiarezza
del profilo politico di questa proposta.
Miope e non condivisibile è stato anche
l’atteggiamento verso il sindacalismo conflittuale. PaP sembra aver
messo al centro la sola azione dell’USB, assolutamente positiva, ma ha
al tempo stesso evitato ogni sostegno agli altri sindacati di base. Il
26 e 27 ottobre, la CUB e il Si Cobas, tra gli altri, hanno lanciato
quello che, al momento, sarà l’unico sciopero dell’autunno, che
coinvolgerà un settore combattivo di lavoratrici e lavoratori, tanto più
significativo perché composto in gran parte da migranti. Pensiamo
sarebbe stato utile che gli attivisti e le attiviste di PaP avessero
contribuito alla riuscita di questa iniziativa, così come pensiamo che
gli altri soggetti in campo avrebbero dovuto impegnarsi nella riuscita
della manifestazione del 20 ottobre promossa dall’USB e dallo stesso
PaP, nell’ottica di rafforzare tutte le iniziative centrate su obiettivi
utili alla lotta di classe e alla visibilità di opzioni alternative al
liberismo del PD al neonazionalismo del governo pentaleghista. Riteniamo
inoltre molto negativo che PaP abbia scelto sostanzialmente di ignorare
anche la battaglia congressuale che molti compagni e compagni stanno
conducendo in CGIL con il documento Riconquistiamo Tutto, espressione
dell’area di opposizione Il Sindacato è un’altra cosa. Una battaglia
condotta non per cambiare la CGIL, ma per spingere alla lotta settori di
avanguardia, o potenzialmente di avanguardia, che pure abbiamo
incontrato in numerose fabbriche e luoghi di lavoro, e che stanno
trovando punti di riferimento in delegate e delegati combattivi in lotta
contro il padrone e contro la burocrazia sindacale. Il percorso
congressuale ha, in questi termini, mostrato finora risultati
incoraggianti: da Nord a Sud, Il sindacato è un’altra cosa ha vinto
congressi difficili in luoghi di lavoro importanti, consolidando il
lavoro pregresso dei suoi delegati e delle sue delegate o stringendo
nuovi rapporti, dimostrando il ruolo insostituibile dei delegati e delle
delegate combattive e classiste. Questo ruolo ha anche permesso di
ottenere, attraverso il conflitto, vittorie significative, come
l’accordo per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
alla SAME di Bergamo, o la reintroduzione dell’Art. 18 alla GKN di Campi
Bisenzio (FI). Soprattutto dimostra che è prioritario e necessario
costruire una convergenza dei delegati classisti e combattivi a partire
dai temi concreti sui luoghi di lavoro, andando oltre la guerra delle
tessere tra diverse organizzazioni sindacali e costruendo momenti comuni
di conflitto a beneficio di lavoratori e lavoratrici, disoccupate e
disoccupati.
Restiamo convinti che oggi sia necessaria
la costruzione di un movimento di massa plurale, unitario e radicale
contro il governo gialloverde, che si batta per di diritti sociali e
democratici, per l’autodeterminazione delle donne e dei soggetti LGBT,
contro la guerra e per un’Europa dei lavoratrici e dei lavoratori oltre
ogni frontiera, e che non abbia nessuna nostalgia del vecchio e
fallimentare centro-sinistra o di alcuna sua variante. Siamo stati tra i
principali protagonisti della rottura con il governo Prodi nei 2007 e
rivendichiamo con forza quella scelta, ritenendo che le sue ragioni
abbiano ancora un valore fondante rispetto alle prospettive di
ricostruzione del movimento di classe in questo paese. Sono queste le
ragioni politiche di fondo, peraltro già recentemente espresse in modo
più esteso (vedi: https://anticapitalista.org/2018/09/17/le-dinamiche-involutive-di-potere-al-popolo-e-il-fronte-unico-necessario/),
per cui abbiamo maturato la scelta di non aderire al nuovo percorso di
Pap, cioè alla nuova forma politica organizzativa (un partito a tutti
gli effetti).
Crediamo sarebbe stato necessario
ritornare alle origini del movimento, ascoltare, le preoccupazioni, i
dubbi e le opposizioni che si sono espresse in numerose assemblee
territoriali e che abbiamo potuto verificare, per recuperare la
centralità della politica e la costruzione di un percorso che fosse in
grado, a partire dai prossimi appuntamenti di solidarietà e lotta, di
ricostruire il movimento di cui c’è bisogno. L’autocentratura
organizzativa che si è scelto e che sarà affermata dal voto su
piattaforma dei prossimi giorni è una opzione precisa, legittima per chi
la fa, ma politicamente non condivisibile; limita PaP su sé stessa e
produce necessariamente la predilezione per l’autopromozione del suo
logo, come si sta già verificando in molte situazioni (http://www.milano-anticapitalista.org/2018/10/04/una-risposta-necessaria-ai-gap-di-pap/)
piuttosto che la costruzione di appuntamenti larghi e plurali. È però
nostra ferma intenzione continuare a seguire con attenzione l’iniziativa
e il dibattito di Pap coltivando con forza un rapporto unitario da
organizzazione a organizzazione. Naturalmente siamo impegnati in una
interlocuzione politica e in un rapporto con tutti i soggetti che
lavorano nella costruzione delle mobilitazioni sociali, per dare la
maggior forza possibile alle iniziative di lotta su obiettivi
democratici e di classe. Siamo certi che, pur serbando rammarico per
un’occasione che ci sembra persa, ci ritroveremo con questi compagni e
queste compagne fianco a fianco nelle piazze e nei luoghi di lavoro e
che la discussione politica sulla costruzione delle resistenze sociali e
dell’alternativa politica da costruire continuerà.
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