Di Antonio Sanarica
Da anni i migranti, richiedenti asilo politico, ospitati nei
Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) gestiti dall’associazione Salam ONG
in provincia di Taranto lottano per i loro diritti. Sono, in pratica, in
mobilitazione permanente, perché periodicamente, organizzati dallo SLAI-COBAS,
sono costretti a intraprendere azioni di lotta per rivendicare il pagamento del
cosiddetto “pocket money” (2.50 euro al giorno) e per denunciare le cattive
condizioni di accoglienza.
Io ed una collega abbiamo iniziato a lavorare per
Salam il 24 settembre 2015, per 2 mesi e mezzo presso l’hotel “Roxana” a
Pulsano (TA) e poi, fino al 20 giugno 2016, presso l’hotel “Bel Sit”, nel
quartiere di Talsano a Taranto. Il nostro lavoro, impostato sull’attenzione,
sull’ascolto e sull’avvio di percorsi positivi nell’affrontare problemi
sanitari e di pratiche legali, ha rappresentato solo una parentesi. I migranti
beneficiari dell’accoglienza presso Salam continuano a lamentare trascuratezza
per le loro condizioni di salute, scarsa igiene e fatiscenza delle strutture
alberghiere, mancata distribuzione per mesi di prodotti per l’igiene personale,
poca qualità dei pasti (basterebbe poco per andare , almeno un po’, incontro
alle loro abitudini alimentari), pesantissimi ritardi da parte della Questura
nel rilascio o aggiornamento del permesso di soggiorno, tempi biblici di attesa
per essere ascoltati dalla commissione territoriale per la protezione
internazionale di Lecce).
Da ultimo si è aggiunta un’altra grave questione: per un mese
sono stati privati di acqua calda e, tranne che per pochi minuti, di energia
elettrica, dunque, non essendoci riscaldamento centralizzato,
nell’impossibilità pure di accendersi delle stufette! Questo nel periodo di
freddo estremo a cavallo tra dicembre e gennaio che ha visto scendere giù la
neve anche sulla litoranea tarantina, nel quartiere di Talsano dove sono ubicati l’hotel “Bel Sit” e “Casa
Sofia”, la prima che ospita circa 130 persone e la seconda che ne ospitava più
di 90, tra cui moltissimi minori, e che l’altro giorno è stata chiusa. Alcuni
giorni fa la Prefettura ha disposto il trasferimento di una parte di loro in un
albergo di Grottaglie (TA). Negli ultimi tempi si sono uniti alla lotta i
migranti ospiti nella struttura del quartiere “Paolo VI” gestita
dall’associazione “Noi e Voi”, che, dopo circa sei mesi dal loro arrivo, sono
privi ancora del primo permesso di soggiorno.
La dott.ssa Simona Fernandez, presidente di Salam che insieme
ad un altro soggetto, la cooperativa “Al Fallah” diretta dal marito, gestisce
in provincia di Taranto anche uno centro di accoglienza SPRAR (Sistema di
Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), un centro interculturale che eroga
servizi per i migranti e un altro centro per minori, ha sempre giustificato la
non erogazione di pocket money e stipendi ai dipendenti con ritardi nel
trasferimento dei fondi da parte della Prefettura. Tranne che per la tranche di
finanziamenti dell’ultimo trimestre 2015, bloccata temporaneamente, chiarezza sulle responsabilità non è mai
stata fatta nemmeno dalla Prefettura negli innumerevoli incontri con la
responsabile immigrazione, vicaria del Prefetto, dott.ssa Trematerra o suoi
sostituti. Stranamente, però, i fondi saltavano fuori (almeno per pagare il
pocket money e alcuni stipendi ai lavoratori) subito dopo che i migranti con la
loro mobilitazione facevano salire l’attenzione degli organi d’informazione
sulla vicenda. A giugno scorso un gruppo di lavoratori Salam-Al Fallah tra cui
il sottoscritto, dopo il rifiuto apposto da Fernandez a discutere delle
condizioni di lavoro, per poter avere una organizzazione che lo tutelasse si è
iscritto al sindacato USB e, attraverso
questo ha chiesto ufficialmente un
incontro, che, fissato presso la sede della Confcooperative, veniva per
tre volte puntualmente e all’ultimo minuto rinviato dalla stessa Fernandez, che
intanto negava lo svolgimento di assemblee nei luoghi di lavoro. Al centro
delle nostre richieste, oltre alle condizioni di lavoro (stipendi non percepiti
da mesi e, per alcuni, mancanza di contratto, orari di lavoro ben oltre i
limiti contrattuali e non retribuiti e imposizione di turni notturni), c’erano le condizioni dei migranti (pocket money, prodotti
per l’igiene personale, schede telefoniche, fondo cassa per le spese mediche -
con gli operatori a dover spesso anticipare le spese per le medicine - ,
sovraffollamento e agibilità delle strutture).
La risposta di Salam-Al Fallah si inserisce a pieno titolo
nella migliore tradizione padronale: il 21 giugno venivamo licenziati io e la
mia collega e alcuni giorni dopo altri 2 lavoratori (uno già oggetto di
provvedimenti disciplinari), tutti iscritti all’USB, naturalmente in un
contesto di ricatti e minacce con un corollario di denunce e segnalazioni alla
polizia contro alcuni lavoratori ribelli. Tutto questo fa il paio con quanto
accaduto in questi giorni ad una decina migranti, allontanati dalle strutture
in cui erano ospitati con un provvedimento di revoca dell’accoglienza da parte
della Prefettura per aver partecipato ad una manifestazione di protesta davanti
al Bel Sit agli inizi di novembre scorso (mentre sono già partiti i ricorsi al
TAR, all’ultimo sit-in di qualche giorno fa i migranti e lo SLAI-COBAS hanno
chiesto il ritiro dei provvedimenti e il dirigente prefettizio che ha ricevuto
la delegazione ha dichiarato che saranno verificate le posizioni di ognuno!!!).
Lo sciopero proclamato per l’8 luglio dall’USB, condizionato
nella partecipazione da un contesto di poca coscienza dei propri diritti
tra gli altri colleghi di lavoro, alcuni di loro particolarmente solerti
nell’eseguire direttive contrarie oltre che all’etica professionale ad un
qualsiasi senso di umanità, registrava la significativa, per noi, presenza di
un gruppo di migranti oltre che di vari altri compagni. L’incontro in
Prefettura tra una nostra delegazione e due dirigenti prefettizi, sostituti
della sostituta del Prefetto (la vicaria, dott.ssa Trematerra, era assente),
con la presenza pure della parlamentare Donatella Duranti, si concludeva con
l’impegno di attivare controlli sulle condizioni dell’accoglienza da parte di
un organismo tecnico (controlli mai visti ne prima ne dopo) e di sottoporre un
documento al Prefetto con tutte le problematiche e le rivendicazioni avanzate.
Al netto dei licenziamenti, dei non rinnovi contrattuali e degli allontanamenti
“volontari” (col loro strascico di vertenze legali), le associazioni Salam e Al
Fallah dovrebbero contare ancora una trentina di dipendenti sparsi nei vari
centri. Aspettiamo la convocazione del tribunale per il ricorso contro il
licenziamento. L’esito, nella migliore delle ipotesi, di un riconoscimento
della illegittimità del licenziamento e del diritto solo ad un esiguo
risarcimento economico è il frutto avvelenato del “jobs act” renziano.
La specifica vicenda Salam pone degli interrogativi. Come mai
a questa associazione, nonostante denunce dettagliate e ripetute contestazioni,
vengono assegnati nuovi appalti o prorogati quelli esistenti? Come mai, a
maggio scorso, la Prefettura destinava molti minori (alcuni bambini) non
accompagnati da nessun familiare adulto alla struttura “Casa Sofia”, non ancora
inaugurata e trovata, al loro arrivo, in condizioni vergognose, con acqua che
cadeva dal soffitto, sporcizia e bagni divelti? Come mai la Prefettura, che in
un’altra occasione, aveva bloccato un progetto di accoglienza di un’altra
associazione, durante un controllo preventivo, costatando la mancanza di un
documento edilizio (nonostante prendesse atto dell’adeguatezza della struttura
per l’accoglienza), nel caso di “Casa Sofia” non ha condotto alcuna verifica
preventiva e vi inviava persone particolarmente vulnerabili come minori soli? Come mai, i vari controlli dell’ufficio
immigrazione della Questura di Taranto all’hotel “Bel Sit”, ai quali ho
assistito nel periodo in cui vi lavoravo (dal 9 dicembre 2015 al 20 giugno
2016), si sono sempre limitati al numero delle presenze nella struttura e
sull’identità delle persone e mai sulle condizioni delle strutture stesse e dell’accoglienza così come veniva gestita da
Salam? Si dirà che i controlli sulla qualità dei servizi d’accoglienza non è di
loro competenza, che sono altri gli uffici a ciò designati. Sono le risposte
con cui lo Stato difende se stesso, quando in ballo ci sono intere fasce di
popolazione considerate non persone, soggetti da respingere, da controllare, da
emarginare….fino a quando non osano alzare la voce per rivendicare i propri
diritti. Quest’ultima considerazione, però, riguarda la situazione generale
dell’accoglienza. All’interno di questa situazione generale associazioni come
Salam hanno un ruolo particolarmente negativo, per cui, un obbiettivo primario
di ogni lotta politica per un’accoglienza dignitosa ai migranti non potrà non
essere quello che siano loro immediatamente revocate tutte le concessioni
all’accoglienza, impedire a che
Prefetture e Comuni gliene concedano altre in futuro, far subentrare soggetti
in grado almeno di garantire standard minimi di rispetto dei diritti dei
migranti e dei diritti dei lavoratori e svelare e denunciare le inadempienze e
le responsabilitàe dell’apparato statale.
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