venerdì 10 febbraio 2017

UNA RIFLESSIONE DEL CIRCOLO DI SIN. ANTICAPITALISTA DI TARANTO SULLA SITUAZIONE DEI MIGRANTI



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Il diritto d’asilo, dietro la retorica ipocrita degli alti principi sbandierati dalle Convenzioni Internazionali, dalle Dichiarazioni Universali e dalla Costituzione italiana viene continuamente calpestato e attaccato. Respingimenti, muri, filo spinato, migliaia di persone abbandonate a patire freddo e fame, governi fascistoidi (vedi Ungheria) che aprono le loro carceri ai rifugiati, governi che si dicono di sinistra (Grecia) che con governi reazionari (Turchia) si dividono i compiti di cani da guardia dell’Europa capitalista, sulla pelle di decine di migliaia di profughi, migliaia di morti annegati nel Canale di Sicilia ogni anno, Unione Europea che, come già fatto con la Turchia, subappalta la criminale politica di chiusura e respingimenti dei migranti ai paesi da cui scappano come il Mali e la Libia (ma accordi si preparano già con Senegal, Niger, Nigeria ed Etiopia), l’Italia che ostenta il suo volto cinico e feroce col suo uomo forte, tutto legge, ordine e stellette, il ministro degli interni Minniti, distributore di CIE (centri di identificazione ed espulsione) in ogni regione (affinchè ognuno faccia la sua parte!).

In Italia l’accoglienza dei richiedenti asilo è incentrata quasi totalmente su accordi tra Prefetture e soggetti privati per la gestione dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), le cui emergenziali “fortune” iniziano nel 2011, anno dell’arrivo in Italia dei migranti fuggiti dal nord Africa in rivolta.  I migranti vi sono inviati se riescono a superare le “Forche Caudine” dei cosiddetti “hotspot”, strutture illegali, detentive, sotto controllo militare, della polizia di Stato e delle agenzie di polizia europea. Sono centri in cui viene negato il diritto alla richiesta della protezione internazionale e, al riparo da occhi indiscreti (organismi indipendenti di tutela ma anche parlamentari), con sistemi coercitivi e di violenza fisica (si vedano le dettagliate denunce di Amnesty International, solo per citare un esempio), si identificano i migranti e, nel più assoluto arbitrio, si stabilisce chi potrà fare domanda d’asilo e chi sarà respinto. Frequentemente questa illegale operazione di selezione viene fatta addirittura in alto mare, quando le navi militari sono ancora in viaggio. Gli hotspot sono stati creati sotto l’”alto patrocinio” dell’Unione Europea a partire dal 2015, in Grecia e in Italia (Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto). La chiusura immediata di questa vergogna è una priorità assoluta.
Ad aprile 2016, su 110.000 posti disponibili per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, 80.000 erano gestiti dai CAS. Un altro obbiettivo prioritario della lotta per un’accoglienza degna di questo nome deve essere il loro smantellamento, perché fonte di ingentissimi finanziamenti (mediamente 35 euro al giorno per persona ospitata) che non vanno ai migranti ma ad associazioni e soggetti privati vari spesso senza nessuna competenza se non quella di fiutare l’affare milionario, senza garanzie per la fornitura dei servizi per l’assenza o quasi di controlli e verifiche (e dunque calpestando innanzitutto i diritti dei migranti) e senza obbligo di rendicontare le spese (basta fornire qualche fattura). Dunque le discutibili gestioni di queste strutture, trovano terreno fertile in un sistema che è pensato proprio non per garantire l’accesso dei migranti al sistema di protezione internazionale, ma per costituire una specie di limbo nel quale sono accantonate persone trascurate nei loro bisogni primari, che in maggioranza vedranno respinta la loro richiesta d’asilo, che in pochi casi riceveranno una forma minore di protezione (“umanitaria”) e in pochissimi lo status di rifugiato (o la quasi equivalente protezione “sussidiaria”). I CAS spesso sono ubicati in strutture alberghiere che accolgono anche 100-200 persone, spesso lontane dai centri abitati. Anche quando sono inseriti in contesti urbani, le condizioni oggettive in cui sono accolti i richiedenti asilo, con la concentrazione di un numero elevatissimo di persone nella stessa struttura, con la totale assenza di attività di preparazione della comunità locale all’accoglienza e l’assoluta carenza di attività di relazione con il contesto circostante, cancellano in partenza ogni ipotesi di “integrazione” sociale e, anzi, favoriscono la diffusione di sentimenti razzistici. Le strutture molte volte sono vecchie, lasciate senza manutenzione e in violazione delle più elementari norme di sicurezza. I proprietari degli alberghi, con la crisi del settore turistico, considerano questi progetti come vera e propria manna caduta dal cielo, fonte di guadagni sicuri a fronte di spese ridotte all’osso.
E’ un sistema disumanizzante e spersonalizzante, terreno molto fertile per lo sviluppo nel migrante di stati di frustrazione e depressione.
Da quanto detto si capisce bene il perché anche associazioni che possono vantare un reale impegno sul terreno della solidarietà e dell’accoglienza ai migranti, che gestiscono già centri SPRAR(Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), non disdegnino di tuffarsi nel mondo dei CAS: la mancanza di reali controlli sulle spese di gestione del servizio potrebbe permettere di stornare senza troppi rischi somme che possono servire, per esempio, a finanziare convegni e comunque iniziative pubbliche (fondamentali per intessere buone relazioni e accreditarsi con le istituzioni locali) o coprire buchi di qualche altro bilancio.
Un altro soggetto del sistema CAS, spesso trascurato, è il proprietario dell’albergo. E’ un soggetto fondamentale perché, con i propri dipendenti, è l’interfaccia diretto rispetto alle richieste dei migranti ospitati, anche più degli operatori. In alcuni casi egli esercita funzioni attinenti, non tanto e non solo alla gestione dell’albergo in se, quanto al servizio vero e proprio di accoglienza: disbrigo di pratiche burocratiche presso uffici pubblici o materiale distribuzione agli ospiti del pocket money, per fare degli esempi. Naturalmente non c’è bisogno di chiedersi se qualche domanda le Prefetture le pongano sull’albergatore, ai soggetti gestori. Si potrebbe dire che esse   gli occhi non li aprano proprio.                                                                                                                                                 L’alternativa al sistema CAS si deve costruire sulla base dei principi del Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati, basato sull’accoglienza di piccoli gruppi di migranti, alloggiati in appartamenti o strutture collettive, con progetti che vedono i Comuni e gli enti locali direttamente coinvolti e che in questi anni ha in genere garantito buoni livelli di accoglienza, con controlli puntuali sulla rendicontazione delle spese sostenute e sugli obbiettivi di integrazione sociale da parte degli uffici comunali per le politiche sociali (o di uffici di altri enti coinvolti) e da parte del Servizio Centrale, che, per conto dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) , coordina la rete dei progetti a livello nazionale. L’esempio migliore di questo modello di accoglienza lo fornisce il Comune di Riace in provincia di Reggio Calabria, il cui sindaco, Mimmo Lucano, ha da anni messo in piedi un progetto di accoglienza SPRAR basato sul riutilizzo di abitazioni ormai da tempo abbandonate da cittadini di Riace emigrati alla ricerca di lavoro, ristrutturate ed occupate da piccoli nuclei familiari di migranti.
E’ chiaro che la logica rispetto ai CAS è diametralmente rovesciata: ad un sistema basato sull’annullamento, sull’occultamento, sulla separazione dei migranti rispetto al contesto sociale, sul loro controllo, se ne contrappone un altro che si pone l’obbiettivo di porre le basi per il loro inserimento sociale e quello di dare loro la possibilità di essere protagonisti nell’esercizio dei propri diritti.
E’ scontato che qui si parla dei principi del sistema SPRAR e si dice che in base a questi si può nell’immediato proporre un’alternativa concreta al sistema disumanizzante dei CAS. Un’ alternativa, tra le altre cose, che è sperimentata da una quindicina di anni e dunque non si parte da zero. Naturalmente tutto questo non significa le amministrazioni comunali e i responsabili del Servizio Centrale siano per definizione migliori rispetto ai prefetti e vice prefetti o che le associazioni che gestiscono gli SPRAR siano buone e corrette a prescindere (tra l’altro molte, come si diceva prima, gestiscono contemporaneamente anche CAS!). Si dice solo che l’impostazione dell’accoglienza SPRAR e l’esperienza che se ne ha, possono fornire le basi concrete per realizzare un’accoglienza degna di questo nome. Certamente la parola d’ordine di un’accoglienza diffusa, organizzata in tanti piccoli gruppi o nuclei familiari, affidata ai Comuni e soggetti la cui attività sia sottoposta a verifiche e controlli non solo delle istituzioni, ma anche di associazioni di migranti e comitati a tutela dei loro diritti, può essere lanciata come un obbiettivo concreto ed immediato di lotta.
Il numero dei posti disponibili negli SPRAR è cresciuto negli ultimi anni (nel novembre 2016 se ne contavano 26.000), ma il cavallo di battaglia del governo rimangono i CAS, che continuano a moltiplicarsi. L’accordo tra ANCI e governo del 14 dicembre scorso apparentemente da’, per alcuni aspetti, un segnale diverso: sull’onda dei vari scandali e inchieste giudiziarie, stabilisce degli “incentivi” per i comuni che aderiscono al sistema SPRAR, fissa un rapporto di 2,5 migranti accolti ogni 1.000 abitanti e dichiara la non possibilità per le Prefetture di aprire nuovi CAS nei Comuni che hanno già centri SPRAR. Si sottolinea nell’accordo che l’adesione dei Comuni è su base volontaria. Dietro l’aspetto della volontarietà si nasconde la non volontà da parte delle istituzioni di approntare un sistema organico e serio che garantisca un’accoglienza vera ai richiedenti asilo, anche per non pagare elettoralmente un sentimento crescente di razzismo, che hanno contribuito ad alimentare e che spesso cavalcano. Ci si pone una domanda: perché lo stesso criterio della volontarietà non lo si concede ai Comuni quando lo Stato apre i CAS, i CIE o gli hotspot, o anche quando si progettano quelle opere che, sotto il marchio dell’interesse nazionale, attaccano i territori e distruggono l’ambiente? Comunque, a sfatare ogni dubbio su quanto il Governo ritenga stringente quell’accordo, intervengono i fatti: pochi giorni fa, ad esempio, la Prefettura di Taranto ha disposto l’apertura di un nuovo CAS presso un albergo a Grottaglie, Comune che da anni aderisce con un proprio progetto al sistema SPRAR, per accogliere un gruppo di ragazzi in precedenza ospitati presso le strutture dell’ass. Salam! Comunque verificheremo nel prossimo futuro se ci saranno evoluzioni nel sistema d’accoglienza.
Per la sinistra rivoluzionaria assolutamente fondamentale è la lotta al fianco dei migranti. All’offensiva reazionaria delle classi borghesi di tutto il mondo bisogna rispondere con la costruzione della lotta rivoluzionaria internazionale. Il nostro compito al fianco dei migranti deve puntare alla costruzione di strumenti di autorganizzazione sociale, perché nessuna organizzazione politica( nemmeno la più avanzata), nessuna avanguardia può sostituirsi alle masse nella lotta per la loro emancipazione. I militanti di Sinistra Anticapitalista saranno presenti alle iniziative di lotta dei migranti, contribuendo alla costruzione di una piattaforma con le loro rivendicazioni, che abbia il senso generale di una controffensiva all’attacco borghese. Ci sono state a Taranto iniziative importanti di lotta al fianco dei migranti. Sono avvenute, però, col sostegno di poche organizzazioni, in forzata o volontaria solitudine. Bisogna superare ogni atteggiamento di chiusura e facciamo appello alla costruzione di un percorso unitario di lotta per i diritti dei migranti.
Alla costruzione di muri e alla criminale politica dei respingimenti bisogna rispondere con la lotta per l’apertura di tutte le frontiere e l’accoglienza generalizzata di tutti coloro che scappano dalle dittature o dalle guerre imperialiste, ma anche di chi è costretto a fuggire dallo sfruttamento capitalistico che produce miseria e distruzione ambientale e dalla fame. Miliardi di euro vengono dati dall’U.E. alla Turchia e a vari governi africani per respingere o bloccare i migranti.  Tutte le risorse devono invece essere messe a disposizione per accoglierli. A partire dall’Italia si deve approntare un piano per il trasporto dei migranti in sicurezza con l’utilizzo di ogni mezzo necessario (traghetti, aerei o altro). La Comunità di Sant’Egidio sta realizzando un progetto di “corridoi umanitari” che prevede l’arrivo in sicurezza e l’accoglienza per un anno in Italia per 1600 profughi. Il progetto è finanziato con l’8 x 1000 della Chiesa Valdese. Un piccolo esempio positivo questo, ma che sicuramente è giusto ricordare. Bisogna  iniziare la lotta anche da un singolo paese, coi migranti imporre allo Stato un’accoglienza dignitosa che generalizzi, per il momento, il modello SPRAR e smantelli quello dei CAS (e a maggior ragione dei CARA-centri accoglienza richiedenti asilo-, CDA-centri d’accoglienza- , CIE-centri d’identificazione ed espulsione- e degli hotspot). Bisogna togliere alle Questure i compiti anagrafici che svolgono oggi. I documenti di soggiorno devono essere emessi dagli uffici anagrafici comunali, come è naturale che sia. La competenza in capo alle Questure delle pratiche per i permessi di soggiorno è logica solo rispetto alla visione della questione migratoria in termini repressivi e di pubblica sicurezza, visione propria delle leggi “Turco-Napolitano” e “Bossi-Fini”.
Ci si deve opporre con fermezza alle ultime proposte del ministro Minniti di aprire un C.I.E. in ogni regione e di impiegare i richiedenti asilo in lavori socialmente utili in cambio di una facilitazione nelle procedure per l’ottenimento della protezione internazionale. I C.I.E., varati dalla legge “Turco-Napolitano” nel 1998 con la prima dizione di “Centri di Permanenza Temporanea” e già presenti in alcune regioni, sono strutture detentive illegali, in cui, con un semplice provvedimento amministrativo, vengono rinchiuse persone che non hanno commesso alcun reato ma che sono semplicemente prive di un documento di soggiorno e vengono destinate all’espulsione. Un abominio giuridico che, come gli hotspot, contraddice anche la Costituzione quando afferma che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere sottoposto a reclusione senza una decisione dell’autorità giudiziaria (art. 13).
La proposta dei lavori socialmente utili (per giunta non retribuiti) è vergognosa perché si basa sul principio  che il richiedente asilo debba in qualche modo ricambiare lo Stato italiano che gli “concede” l’accoglienza e l’eventuale protezione internazionale. La richiesta d’asilo è un diritto sacrosanto e non un privilegio o un regalo. E’ un diritto che va rivendicato e garantito e non sottoposto al ricatto di dover dare in cambio qualcosa. Inoltre questa proposta apre la strada a scenari di guerra tra poveri: tra gli attuali lavoratori l.s.u. altri lavoratori di piccole aziende e/o disoccupati,  che evidentemente rischierebbero di perdere la loro sia pur esigua fonte di reddito, e i migranti, visti come nemici nella lotta per accaparrarsi le briciole che il sistema lascia loro. 
Per chiudere il cerchio il ministro Minniti attacca ulteriormente le garanzie per i diritti dei richiedenti asilo, proponendo l’eliminazione di un grado di giudizio (quello dinanzi la Corte d’Appello) nel caso di ricorso contro il diniego della richiesta di asilo della Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale. Contro la decisione della Commissione potrà ricorrere davanti al Tribunale civile, ma, se anche questo confermasse il diniego, non gli rimarrebbe altro che ricorrere in Cassazione. Resta salvo il fatto che comunque, dopo il diniego del Tribunale, il richiedente asilo può essere espulso in qualsiasi momento, indipendentemente dal fatto che faccia o meno un ulteriore ricorso.
La lotta si deve allargare alle condizioni di lavoro dei migranti, spesso di selvaggio sfruttamento, nella prospettiva della costruzione di un blocco sociale che li veda  protagonisti al fianco dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, degli studenti e delle donne. E’ chiaro che l’unica possibilità di vittoria risiede nella costruzione di una forte solidarietà internazionalista che sostenga le lotte nei singoli paesi e fronteggi la campagna mediatica, già da tempo avviata dalle borghesie nazionali e dalle burocrazie europee, tendente a creare nell’opinione pubblica allarmi e paure per fantomatiche “invasioni” di migranti. I numeri possono parlare meglio di tante parole: nel 2015 il numero dei profughi presenti in tutti e 28 Paesi U.E. era di circa 1 milione mentre nella sola Turchia ce n’erano circa 2,8 milioni (nel 2014 l’O.N.U. ha registrato un numero di sfollati e profughi pari a circa 60 milioni in tutto il mondo)! Non possiamo arrenderci a questo stato di oppressione e di barbarie. La lezione del popolo greco e della capitolazione di Syriza e del governo Tsipras ci deve fare da bussola. Contemporaneamente a questo obbiettivo, dobbiamo lottare contro tutte le guerre e tutti i governi criminali che le fanno (che sia quello russo o americano, turco o iraniano, saudita o italiano) e contro le dittature sanguinarie che massacrano, incarcerano o torturano i loro popoli (da Assad a Erdogan, dalle monarchie della penisola arabica ai governi di tanti paesi africani). La storia del popolo palestinese, in maggioranza da 70 anni profugo a causa dell’occupazione sionista, la tragedia che vive il popolo siriano non devono nemmeno per un istante farci perdere di vista l’importanza della solidarietà con la resistenza e le rivoluzioni arabe. La lotta degli sfruttati, ovunque avvenga, è la nostra lotta.

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