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Il diritto d’asilo, dietro la retorica ipocrita degli alti
principi sbandierati dalle Convenzioni Internazionali, dalle Dichiarazioni
Universali e dalla Costituzione italiana viene continuamente calpestato e
attaccato. Respingimenti, muri, filo spinato, migliaia di persone abbandonate a
patire freddo e fame, governi fascistoidi (vedi Ungheria) che aprono le loro
carceri ai rifugiati, governi che si dicono di sinistra (Grecia) che con
governi reazionari (Turchia) si dividono i compiti di cani da guardia dell’Europa
capitalista, sulla pelle di decine di migliaia di profughi, migliaia di morti
annegati nel Canale di Sicilia ogni anno, Unione Europea che, come già fatto
con la Turchia, subappalta la criminale politica di chiusura e respingimenti
dei migranti ai paesi da cui scappano come il Mali e la Libia (ma accordi si
preparano già con Senegal, Niger, Nigeria ed Etiopia), l’Italia che ostenta il
suo volto cinico e feroce col suo uomo forte, tutto legge, ordine e stellette,
il ministro degli interni Minniti, distributore di CIE (centri di
identificazione ed espulsione) in ogni regione (affinchè ognuno faccia la sua
parte!).
In Italia l’accoglienza dei richiedenti asilo è incentrata
quasi totalmente su accordi tra Prefetture e soggetti privati per la gestione
dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), le cui emergenziali “fortune”
iniziano nel 2011, anno dell’arrivo in Italia dei migranti fuggiti dal nord
Africa in rivolta. I migranti vi sono
inviati se riescono a superare le “Forche Caudine” dei cosiddetti “hotspot”,
strutture illegali, detentive, sotto controllo militare, della polizia di Stato
e delle agenzie di polizia europea. Sono centri in cui viene negato il diritto
alla richiesta della protezione internazionale e, al riparo da occhi indiscreti
(organismi indipendenti di tutela ma anche parlamentari), con sistemi
coercitivi e di violenza fisica (si vedano le dettagliate denunce di Amnesty
International, solo per citare un esempio), si identificano i migranti e, nel
più assoluto arbitrio, si stabilisce chi potrà fare domanda d’asilo e chi sarà
respinto. Frequentemente questa illegale operazione di selezione viene fatta
addirittura in alto mare, quando le navi militari sono ancora in viaggio. Gli
hotspot sono stati creati sotto l’”alto patrocinio” dell’Unione Europea a
partire dal 2015, in Grecia e in Italia (Lampedusa, Trapani, Pozzallo e
Taranto). La chiusura immediata di questa vergogna è una priorità assoluta.
Ad aprile 2016, su 110.000 posti disponibili per
l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, 80.000 erano gestiti dai CAS.
Un altro obbiettivo prioritario della lotta per un’accoglienza degna di questo
nome deve essere il loro smantellamento, perché fonte di ingentissimi
finanziamenti (mediamente 35 euro al giorno per persona ospitata) che non vanno
ai migranti ma ad associazioni e soggetti privati vari spesso senza nessuna
competenza se non quella di fiutare l’affare milionario, senza garanzie per la
fornitura dei servizi per l’assenza o quasi di controlli e verifiche (e dunque
calpestando innanzitutto i diritti dei migranti) e senza obbligo di
rendicontare le spese (basta fornire qualche fattura). Dunque le discutibili
gestioni di queste strutture, trovano
terreno fertile in un sistema che è pensato proprio non per garantire l’accesso
dei migranti al sistema di protezione internazionale, ma per costituire una
specie di limbo nel quale sono accantonate persone trascurate nei loro bisogni
primari, che in maggioranza vedranno respinta la loro richiesta d’asilo, che in
pochi casi riceveranno una forma minore di protezione (“umanitaria”) e in
pochissimi lo status di rifugiato (o la quasi equivalente protezione
“sussidiaria”). I CAS spesso sono ubicati in strutture alberghiere che
accolgono anche 100-200 persone, spesso lontane dai centri abitati. Anche
quando sono inseriti in contesti urbani, le condizioni oggettive in cui sono
accolti i richiedenti asilo, con la concentrazione di un numero elevatissimo di
persone nella stessa struttura, con la totale assenza di attività di
preparazione della comunità locale all’accoglienza e l’assoluta carenza di
attività di relazione con il contesto circostante, cancellano in partenza ogni
ipotesi di “integrazione” sociale e, anzi, favoriscono la diffusione di
sentimenti razzistici. Le strutture molte volte sono vecchie, lasciate senza
manutenzione e in violazione delle più elementari norme di sicurezza. I
proprietari degli alberghi, con la crisi del settore turistico, considerano
questi progetti come vera e propria manna caduta dal cielo, fonte di guadagni
sicuri a fronte di spese ridotte all’osso.
E’ un sistema disumanizzante e spersonalizzante, terreno
molto fertile per lo sviluppo nel migrante di stati di frustrazione e
depressione.
Da quanto detto si capisce bene il perché anche associazioni
che possono vantare un reale impegno sul terreno della solidarietà e
dell’accoglienza ai migranti, che gestiscono già centri SPRAR(Sistema di
protezione richiedenti asilo e rifugiati), non disdegnino di tuffarsi nel mondo
dei CAS: la mancanza di reali controlli sulle spese di gestione del servizio
potrebbe permettere di stornare senza troppi rischi somme che possono servire,
per esempio, a finanziare convegni e comunque iniziative pubbliche
(fondamentali per intessere buone relazioni e accreditarsi con le istituzioni
locali) o coprire buchi di qualche altro bilancio.
Un altro
soggetto del sistema CAS, spesso trascurato, è il proprietario dell’albergo. E’
un soggetto fondamentale perché, con i propri dipendenti, è l’interfaccia
diretto rispetto alle richieste dei migranti ospitati, anche più degli
operatori. In alcuni casi egli esercita funzioni attinenti, non tanto e non
solo alla gestione dell’albergo in se, quanto al servizio vero e proprio di
accoglienza: disbrigo di pratiche burocratiche presso uffici pubblici o
materiale distribuzione agli ospiti del pocket money, per fare degli esempi.
Naturalmente non c’è bisogno di chiedersi se qualche domanda le Prefetture le
pongano sull’albergatore, ai soggetti gestori. Si potrebbe dire che esse gli occhi non li aprano proprio. L’alternativa
al sistema CAS si deve costruire sulla base dei principi del Sistema di Protezione
Richiedenti Asilo e Rifugiati, basato sull’accoglienza di piccoli gruppi di
migranti, alloggiati in appartamenti o strutture collettive, con progetti che
vedono i Comuni e gli enti locali direttamente coinvolti e che in questi anni
ha in genere garantito buoni livelli di accoglienza, con controlli puntuali
sulla rendicontazione delle spese sostenute e sugli obbiettivi di integrazione
sociale da parte degli uffici comunali per le politiche sociali (o di uffici di
altri enti coinvolti) e da parte del Servizio Centrale, che, per conto
dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) , coordina la rete dei
progetti a livello nazionale. L’esempio migliore di questo modello di
accoglienza lo fornisce il Comune di Riace in provincia di Reggio Calabria, il
cui sindaco, Mimmo Lucano, ha da anni messo in piedi un progetto di accoglienza
SPRAR basato sul riutilizzo di abitazioni ormai da tempo abbandonate da
cittadini di Riace emigrati alla ricerca di lavoro, ristrutturate ed occupate
da piccoli nuclei familiari di migranti.
E’ chiaro che la logica rispetto ai CAS è diametralmente
rovesciata: ad un sistema basato
sull’annullamento, sull’occultamento, sulla separazione dei migranti rispetto
al contesto sociale, sul loro controllo, se ne contrappone un altro che si pone
l’obbiettivo di porre le basi per il loro inserimento sociale e quello di dare
loro la possibilità di essere protagonisti nell’esercizio dei propri diritti.
E’ scontato che qui si parla dei principi del sistema SPRAR e
si dice che in base a questi si può nell’immediato proporre un’alternativa
concreta al sistema disumanizzante dei CAS. Un’ alternativa, tra le altre cose,
che è sperimentata da una quindicina di anni e dunque non si parte da zero.
Naturalmente tutto questo non significa le amministrazioni comunali e i
responsabili del Servizio Centrale siano per definizione migliori rispetto ai
prefetti e vice prefetti o che le associazioni che gestiscono gli SPRAR siano
buone e corrette a prescindere (tra l’altro molte, come si diceva prima,
gestiscono contemporaneamente anche CAS!). Si dice solo che l’impostazione
dell’accoglienza SPRAR e l’esperienza che se ne ha, possono fornire le basi
concrete per realizzare un’accoglienza degna di questo nome. Certamente la
parola d’ordine di un’accoglienza diffusa, organizzata in tanti piccoli gruppi
o nuclei familiari, affidata ai Comuni e soggetti la cui attività sia
sottoposta a verifiche e controlli non solo delle istituzioni, ma anche di
associazioni di migranti e comitati a tutela dei loro diritti, può essere
lanciata come un obbiettivo concreto ed immediato di lotta.
Il numero dei posti disponibili negli SPRAR è cresciuto negli
ultimi anni (nel novembre 2016 se ne contavano 26.000), ma il cavallo di
battaglia del governo rimangono i CAS, che continuano a moltiplicarsi.
L’accordo tra ANCI e governo del 14 dicembre scorso apparentemente da’, per
alcuni aspetti, un segnale diverso: sull’onda dei vari scandali e inchieste
giudiziarie, stabilisce degli “incentivi” per i comuni che aderiscono al
sistema SPRAR, fissa un rapporto di 2,5 migranti accolti ogni 1.000 abitanti e
dichiara la non possibilità per le Prefetture di aprire nuovi CAS nei Comuni
che hanno già centri SPRAR. Si sottolinea nell’accordo che l’adesione dei
Comuni è su base volontaria. Dietro l’aspetto della volontarietà si nasconde la
non volontà da parte delle istituzioni di approntare un sistema organico e
serio che garantisca un’accoglienza vera ai richiedenti asilo, anche per non
pagare elettoralmente un sentimento crescente di razzismo, che hanno
contribuito ad alimentare e che spesso cavalcano. Ci si pone una domanda:
perché lo stesso criterio della volontarietà non lo si concede ai Comuni quando
lo Stato apre i CAS, i CIE o gli hotspot, o anche quando si progettano quelle
opere che, sotto il marchio dell’interesse nazionale, attaccano i territori e
distruggono l’ambiente? Comunque, a sfatare ogni dubbio su quanto il Governo
ritenga stringente quell’accordo, intervengono i fatti: pochi giorni fa, ad
esempio, la Prefettura di Taranto ha disposto l’apertura di un nuovo CAS presso
un albergo a Grottaglie, Comune che da anni aderisce con un proprio progetto al
sistema SPRAR, per accogliere un gruppo di ragazzi in precedenza ospitati
presso le strutture dell’ass. Salam! Comunque verificheremo nel prossimo futuro
se ci saranno evoluzioni nel sistema d’accoglienza.
Per la sinistra rivoluzionaria assolutamente fondamentale è
la lotta al fianco dei migranti. All’offensiva reazionaria delle classi
borghesi di tutto il mondo bisogna rispondere con la costruzione della lotta
rivoluzionaria internazionale. Il nostro compito al fianco dei migranti deve
puntare alla costruzione di strumenti di autorganizzazione sociale, perché
nessuna organizzazione politica( nemmeno la più avanzata), nessuna avanguardia
può sostituirsi alle masse nella lotta per la loro emancipazione. I militanti
di Sinistra Anticapitalista saranno presenti alle iniziative di lotta dei
migranti, contribuendo alla costruzione di una piattaforma con le loro
rivendicazioni, che abbia il senso generale di una controffensiva all’attacco
borghese. Ci sono state a Taranto iniziative importanti di lotta al fianco dei
migranti. Sono avvenute, però, col sostegno di poche organizzazioni, in forzata
o volontaria solitudine. Bisogna superare ogni atteggiamento di chiusura e
facciamo appello alla costruzione di un percorso unitario di lotta per i
diritti dei migranti.
Alla costruzione di muri e alla criminale politica dei
respingimenti bisogna rispondere con la lotta per l’apertura di tutte le
frontiere e l’accoglienza generalizzata di tutti coloro che scappano dalle
dittature o dalle guerre imperialiste, ma anche di chi è costretto a fuggire
dallo sfruttamento capitalistico che produce miseria e distruzione ambientale e
dalla fame. Miliardi di euro vengono dati dall’U.E. alla Turchia e a vari
governi africani per respingere o bloccare i migranti. Tutte le risorse devono invece essere messe a
disposizione per accoglierli. A partire dall’Italia si deve approntare un piano
per il trasporto dei migranti in sicurezza con l’utilizzo di ogni mezzo
necessario (traghetti, aerei o altro). La Comunità di Sant’Egidio sta
realizzando un progetto di “corridoi umanitari” che prevede l’arrivo in
sicurezza e l’accoglienza per un anno in Italia per 1600 profughi. Il progetto
è finanziato con l’8 x 1000 della Chiesa Valdese. Un piccolo esempio positivo
questo, ma che sicuramente è giusto ricordare. Bisogna iniziare la lotta anche da un singolo paese,
coi migranti imporre allo Stato un’accoglienza dignitosa che generalizzi, per
il momento, il modello SPRAR e smantelli quello dei CAS (e a maggior ragione
dei CARA-centri accoglienza richiedenti asilo-, CDA-centri d’accoglienza- ,
CIE-centri d’identificazione ed espulsione- e degli hotspot). Bisogna togliere
alle Questure i compiti anagrafici che svolgono oggi. I documenti di soggiorno
devono essere emessi dagli uffici anagrafici comunali, come è naturale che sia.
La competenza in capo alle Questure delle pratiche per i permessi di soggiorno
è logica solo rispetto alla visione della questione migratoria in termini
repressivi e di pubblica sicurezza, visione propria delle leggi
“Turco-Napolitano” e “Bossi-Fini”.
Ci si deve opporre con fermezza alle ultime proposte del
ministro Minniti di aprire un C.I.E. in ogni regione e di impiegare i richiedenti
asilo in lavori socialmente utili in cambio di una facilitazione nelle
procedure per l’ottenimento della protezione internazionale. I C.I.E., varati
dalla legge “Turco-Napolitano” nel 1998 con la prima dizione di “Centri di
Permanenza Temporanea” e già presenti in alcune regioni, sono strutture
detentive illegali, in cui, con un semplice provvedimento amministrativo,
vengono rinchiuse persone che non hanno commesso alcun reato ma che sono
semplicemente prive di un documento di soggiorno e vengono destinate
all’espulsione. Un abominio giuridico che, come gli hotspot, contraddice anche
la Costituzione quando afferma che la libertà personale è inviolabile e che
nessuno può essere sottoposto a reclusione senza una decisione dell’autorità
giudiziaria (art. 13).
La proposta dei lavori socialmente utili (per giunta non
retribuiti) è vergognosa perché si basa sul principio che il richiedente asilo debba in qualche
modo ricambiare lo Stato italiano che gli “concede” l’accoglienza e l’eventuale
protezione internazionale. La richiesta d’asilo è un diritto sacrosanto e non
un privilegio o un regalo. E’ un diritto che va rivendicato e garantito e non
sottoposto al ricatto di dover dare in cambio qualcosa. Inoltre questa proposta
apre la strada a scenari di guerra tra poveri: tra gli attuali lavoratori
l.s.u. altri lavoratori di piccole aziende e/o disoccupati, che evidentemente rischierebbero di perdere la
loro sia pur esigua fonte di reddito, e i migranti, visti come nemici nella
lotta per accaparrarsi le briciole che il sistema lascia loro.
Per chiudere il cerchio il ministro Minniti attacca
ulteriormente le garanzie per i diritti dei richiedenti asilo, proponendo
l’eliminazione di un grado di giudizio (quello dinanzi la Corte d’Appello) nel
caso di ricorso contro il diniego della richiesta di asilo della Commissione
Territoriale per la Protezione Internazionale. Contro la decisione della
Commissione potrà ricorrere davanti al Tribunale civile, ma, se anche questo
confermasse il diniego, non gli rimarrebbe altro che ricorrere in Cassazione.
Resta salvo il fatto che comunque, dopo il diniego del Tribunale, il
richiedente asilo può essere espulso in qualsiasi momento, indipendentemente
dal fatto che faccia o meno un ulteriore ricorso.
La lotta si deve allargare alle condizioni di lavoro dei
migranti, spesso di selvaggio sfruttamento, nella prospettiva della costruzione
di un blocco sociale che li veda
protagonisti al fianco dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati,
degli studenti e delle donne. E’ chiaro che l’unica possibilità di vittoria
risiede nella costruzione di una forte solidarietà internazionalista che
sostenga le lotte nei singoli paesi e fronteggi la campagna mediatica, già da
tempo avviata dalle borghesie nazionali e dalle burocrazie europee, tendente a
creare nell’opinione pubblica allarmi e paure per fantomatiche “invasioni” di
migranti. I numeri possono parlare meglio di tante parole: nel 2015 il numero
dei profughi presenti in tutti e 28 Paesi U.E. era di circa 1 milione mentre
nella sola Turchia ce n’erano circa 2,8 milioni (nel 2014 l’O.N.U. ha
registrato un numero di sfollati e profughi pari a circa 60 milioni in tutto il
mondo)! Non possiamo arrenderci a questo stato di oppressione e di barbarie. La
lezione del popolo greco e della capitolazione di Syriza e del governo Tsipras
ci deve fare da bussola. Contemporaneamente a questo obbiettivo, dobbiamo
lottare contro tutte le guerre e tutti i governi criminali che le fanno (che
sia quello russo o americano, turco o iraniano, saudita o italiano) e contro le
dittature sanguinarie che massacrano, incarcerano o torturano i loro popoli (da
Assad a Erdogan, dalle monarchie della penisola arabica ai governi di tanti
paesi africani). La storia del popolo palestinese, in maggioranza da 70 anni
profugo a causa dell’occupazione sionista, la tragedia che vive il popolo
siriano non devono nemmeno per un istante farci perdere di vista l’importanza
della solidarietà con la resistenza e le rivoluzioni arabe. La lotta degli
sfruttati, ovunque avvenga, è la nostra lotta.
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